Da Corriere della Sera del 01/11/2004

Tra i cowboy del profondo Texas dove George è «il vicino di ranch»

di Aldo Cazzullo

CRAWFORD (Texas) - Nulla di più semplice: si atterra a Houston all'aeroporto George Bush (padre), si prende l'autostrada George Bush, si arriva a Crawford annunciata dal cartello: «Country of Bush». «Se volete capire me dovete capire Crawford, Midland, il Texas» ha scritto di sé George Bush (figlio). Nulla di più complicato.

Il New York Times non arriva - è però disponibile The Shooting Times , Tempo di sparare -, il Washington Post neppure, il New Yorker non si sa perché l'edicolante Larry Nelson vi avrà già porto il quotidiano locale, The McGregor Mirror . Capire Bush è complicato perché la sua America, agli antipodi di quella che chiamiamo appunto «altra», il clarinetto di Woody Allen e i papillon dei kennedyani, non è neppure l'America popolare che sentiamo vicina, il rock e Hollywood, il basket e McDonald's , la Cnn e Dallas. Qui non si beve Coca Cola ma Dr Pepper (intruglio dolciastro e aromatico), ordinare un hamburger è da smidollati quando sul barbecue sfrigolano quarti di tori dalle lunghe corna; lo sport coincide con football e baseball, la musica è il country; la Cnn è roba da liberal cioè quasi comunisti, Dallas è una remota città affarista e una serie tv finita. E Bush è «one of the boys»: uno dei nostri, quindi dei loro.

E' difficile capire come l'America profondissima, dove si possono fare centinaia di miglia senza incontrare non un papillon ma una cravatta, si riconosca nel rampollo di una potente famiglia del New England, laureato a Yale e Harvard. Ma è difficile anche capire come lui, con tutti i posti che avrebbe, passi le vacanze estive - e l'ultima notte prima del voto - qui a Crawford, nel ranch comprato dopo aver venduto la sua squadra di baseball, i Texas Rangers. Ci si arriva attraverso una stradina nel verde, la Prairie Chapel Road, che prende il nome dall'edificio più antico della zona (1908). Il ranch è appena più grande di quello dei vicini: un fienile ristrutturato, un capannone per i pick-up , una casa nuova a un piano, molto semplice, con portico sotto cui si conclude l'ultimo spot presidenziale, George e Laura abbracciati a guardare l'orizzonte, vale a dire il nulla. Filo spinato, come dappertutto, più i cartelli: non fermare, non sostare, non parcheggiare. Un canyon con cascata, il laghetto dove il presidente pesca le carpe, le tane degli armadilli preda dei suoi cani Spot e Barney. Cervi. I vicini hanno visto passare Mubarak e Berlusconi, Koizumi e il principe saudita Abdullah, e raccontano che tutti gli ospiti del ranch vengono rieletti, ad esempio Blair, Putin e l'australiano Howard; dimenticano però che Aznar è stato battuto e Jiang Zemin è caduto in disgrazia.

Come ha potuto allora il giornale di Crawford, ripreso dalle agenzie di tutto il mondo, schierarsi con Kerry? Ma no, risponde il signor Nelson, quello è il giornale di Clifton, un altro paese, a Nord; da allora l'edicola non lo tiene più, i 631 lettori di Crawford trovano solo il giornale di McGregor, un altro paese, a Sud. Disponibili anche magliette a 9 dollari e 99 con i due cani e gli altri animali di Bush, la gatta India e la mucca Ofelia, in rappresentanza delle duecento colleghe custodite nel ranch. E poi foto di Bush in stivaloni, con cappello da cowboy , in tuta da aviatore; mai in cravatta. Il pupazzo di Bush che a comando si anima, parla e assicura la vittoria finale del bene. Le statue di Bush padre e dei familiari accanto ai souvenir di un altro tempo, il busto del generale Lee comandante sudista, Buffalo Bill, l'orso impagliato; nessuna traccia di Bin Laden, qui il suo messaggio elettorale è come non fosse arrivato, l'unico cattivo è il generale messicano Santa Anna. Fucili, da 249 dollari e 99 in su. Accanto al negozio c'è il municipio - una stanza - dove Bush quello vero voterà domani. Il signor Nelson è anche il libraio del paese, unico libro disponibile l'autobiografia di Bush.

Certo, il Texas è anche altro. I democratici vi hanno radici antiche, democratico era il governatore che George W. sconfisse nel '94, la popolarissima Ann Richards. Proprio contando sulla lontananza tra il popolo e il rivale, la Richards disse che era nato «con il cucchiaio d'argento in bocca», con la camicia diremmo noi. Fu sconfitta perché i texani si riconobbero in Bush e nel suo tratto rude ma amichevole, nell'ignoranza o meglio nell'antintellettualismo non dissimulato ma rivendicato, nell'elogio del common-sense . E nella comune avversione per blogger e avvocati, i tecnici dell'informazione e del garbuglio, cui contrappongono le radio private e il cowboy , riprodotto sulle targhe delle auto, negli spot, nei bar; non a caso Bush se n'è portato uno vestito da babbo Natale alla Casa Bianca, assieme al piolo per il lancio del ferro di cavallo e al ritratto di Sam Houston fondatore dello Stato. Kerry è in forte rimonta altrove ma non qui, dove la superiorità intellettuale palesata nei duelli tv può non essere un vantaggio, così come la frase-chiave con cui lo sfidante si difende dalle affermazioni nette del presidente su terrorismo, tasse, aborto: «Non è così semplice». I texani si sentono West, più ancora che Sud; non a caso chiamano il ranch «The Western White House».

Crawford è il luogo di elezione. Quello di formazione è 300 miglia a Ovest. Chiese di legno con insegna luminosa «church», bandiera americana, cartello «Bush Cheney 2004» e scritte definitive tipo «Satan is defeated», il male è sconfitto. Donne sedute sul portico a guardare chi passa, mariti di rustica cortesia con la coccarda «support our troops» al petto e la scritta sulla jeep: «Freedom isn't free», la libertà non è gratis, ha un prezzo e l'hanno pagato i reduci accolti nel villaggio di Zaphyr dagli striscioni dei bambini. E' un Texas diverso dallo stereotipo - verde, a tratti persino ondulato, in questi giorni piovoso, e quasi senza cactus -, fino a Midland, dove iniziano gli arbusti e le trivelle che beccano la terra come corvi giganti. Il petrolio fu trovato ottant'anni fa. George senior arrivò nel '48, con la moglie e il primogenito di due anni. All'inizio affittarono una stanza in un bordello di Odessa, la città vicina: nelle sue memorie Barbara ricorda «quelle donne simpatiche e generose che adottarono subito il mio Giorgino; e comunque avevamo un bagno privato». Poi comprarono una casa nuova a un piano, molto semplice, con portico, ora in restauro a spese del consorzio dei petrolieri che ne faranno un museo, al numero 1412 della Ohio Avenue, viale che porta a una spianata di fango e a un pozzo di petrolio.

La città comincia e finisce così, all'improvviso. Centomila abitanti, neppure una libreria - rimpiazzata da uno scaffale al supermercato The fresh food e dalla biblioteca dove lavorava Laura Bush -, un solo cinema, due rivendite di peanut butter and jelly , burro d'arachidi con gelatina, la madeleine del presidente, che ci è cresciuto e ne va tuttora ghiotto. Passeggiare è inutile: si va in auto pure dentro la banca. Qui Bush ha conosciuto il dolore - la morte precoce della sorellina Robin - e il fallimento: la sconfitta nella prima prova elettorale, per il seggio al Congresso; il crollo della sua azienda, la Arbusto, nel pieno del boom petrolifero. E' tornato da governatore, al tempo del boom tecnologico: la gente ne ha un buon ricordo, record di esecuzioni, porto d'armi più facile. Anche a Midland niente quotidiani della Costa Est, e neppure di quella Ovest. Il Texas basta a se stesso. Alla frontiera con il Messico le città si chiamano Corpus Christi e Matamoros; naturale che uno diventi cristiano e megalomane. Forse Bush torna qui semplicemente perché è casa sua, e Kerry non si è fatto nuovi amici quando ha rilevato che gli europei voterebbero in massa per lui. Terra di presidenti e di eroi popolari: da Denison sorse Eisenhower, ad Alamo cadde Davy Crockett; Stonewall patria di Lyndon Johnson, Pecos di Pecos Bill. A Dallas passò un presidente poco amato, venuto da fuori: il deposito di libri che nascose il suo assassino è diventato un museo, dalla finestra dove si appostò Oswald si inquadrano benissimo la X sul terreno che indica il punto fatale e il cenotafio che reca tre sole parole, il suo nome: John Fitzgerald Kennedy.

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