Da Corriere della Sera del 01/11/2004

Le elezioni americane

Il verdetto della vigilia: parità assoluta

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Oggi George W. Bush visiterà sei Stati e domani, dopo avere votato nel Texas, mentre l'America si recherà in massa alle urne, ne visiterà forse un settimo sulla strada del ritorno a Washington. E' la conferma di quanto frenetica e drammatica sia diventata al suo ultimo giorno «la campagna elettorale più importante della storia» come la chiama il presidente e di quanto incerto ne sia lo sbocco. Dato per vincente un mese fa, Bush cerca adesso disperatamente di contenere la rimonta di Kerry: «Nel suo regno - chiede il Washington Post - si trema di paura?». E' una domanda prematura, se non infondata. Nella maggioranza dei sondaggi, da quello Zogby Reuters, il più vicino al senatore, a quello della Fox, la più vicina al presidente, i candidati sono in quasi assoluta parità, con il 46 - 48 per cento dei voti ciascuno. La tradizione inoltre vuole che un'America in guerra faccia quadrato attorno al leader e respinga quindi Kerry. Ma l'indice di approvazione del presidente rimane sotto il 50 per cento, soglia al di sotto della quale nessun inquilino della Casa Bianca è mai stato rieletto, e quello di disapprovazione cresce.

Con i sondaggi sempre meno credibili - si è scoperto che alcuni sono condotti dai computers - i repubblicani si dicono certi che Bush vincerà nettamente e, anzi, indicano che il presidente già lavora a un rimpasto di governo. Ma il fattore Bin Laden, su cui puntavano per lo sprint finale, si è rivelato, nota il New York Times , «irrilevante». Il giornale ha fatto centinaia di telefonate agli elettori, ricevendo la stessa risposta: il video del leader di Al Qaeda non influenzerà il loro voto. La ragione, spiega Stephen Hess, uno storico della Presidenza, è che non è stato visto come un aiuto a Bush o a Kerry, ma come una interferenza non voluta nelle elezioni americane: «Molti rimproverano a Bush di non aver saputo catturare o uccidere Bin Laden neppure dopo tre anni. Altri sostengono che il presidente lo farebbe in un secondo mandato. Non cambieranno idea». Un'analisi ribadita dai sondaggi: il terrorista più ricercato del mondo ha avuto effetto zero sull'elettorato. Ieri Bush ha evitato di parlare di Al Qaeda, mentre Kerry ne ha definito il video «un oltraggio, un insulto all'America».

I due candidati hanno dedicato la domenica all'Ohio e alla Florida, due Stati indecisi e cruciali, facendo appello alla religiosità degli elettori. Bush, un protestante, ha assistito alla messa in una chiesa cattolica a Miami e Kerry, un cattolico, in una chiesa protestante a Dayton. Rivolgendosi agli ispanici e ai democratici, il presidente, che ha attaccato anche Fidel Castro - «Cuba si libererà del tiranno» - ha martellato sulla lotta al terrorismo e li ha implorati: «Unitevi a me». Parlando ai neri, la Bibbia in mano, Kerry si è invece concentrato sulle condizioni di vita dei ceti medio-bassi e bassi. Senza nominare Bush, ha ammonito che per essere buoni cristiani «non basta pregare, occorre agire», ossia garantire l'occupazione, la sanità e l'istruzione pubbliche.

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