Da Corriere della Sera del 05/10/2004

Usa, la sfida Bush-Kerry accende la febbre del voto

In migliaia affollano gli uffici elettorali per registrarsi Rumsfeld: nessuna prova di legami Osama-Saddam

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Sono i giovani, gli immigrati, persino i «pentiti» di quel 50% di americani che non vota mai, una legione di nuovi elettori, la più grande da vent’anni. All'ultimo minuto, si riversa sugli uffici elettorali delle metropoli e dei cosiddetti Stati «in bilico» per iscriversi ai registri. E' la febbre del martedì sera, martedì 2 novembre quando - la sera - si chiuderanno le urne. Secondo il New York Times attanaglia l'America, che ora sogna di dare una grande prova di democrazia, come negli anni Sessanta, quando votava il 60-65% dell’elettorato. Sulla corsa esistono solo aneddoti, non statistiche nazionali. Ma sono emblematici: la Pennsylvania ha assunto altro personale, il Michigan ha tenuto i registri aperti il weekend, la Florida ha preso più computer. Dice Key Maxwell, presidente della Lega delle elettrici, che nei seggi chiave i suffragi dovrebbero essere il 10-20% in più del 2000.

La febbre è esplosa adesso perché a fine settimana le iscrizioni si chiuderanno in 31 dei 50 Stati americani, tra cui quelli che Bush conquistò o perdette quattro anni fa per poche migliaia di voti, e perché l'America è polarizzata dalla guerra in Iraq. Un tema su cui ieri è tornato il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, dichiarando che non c’è mai stata alcuna «prova forte, evidente» dell’esistenza di un legame tra il regime di Saddam Hussein e Osama Bin Laden o Al Qaeda. Un’ammissione importante per il governo Bush, che contribuirà ad accendere ancor più il clima preelettorale e spingere molti incerti al voto.

E’ da giugno in realtà che l’atmosfera si è surriscaldata, da quando gruppi «bipartisan» come Progetto voto si mobilitarono per portare il pubblico alle urne. E ormai non è escluso che il responso degli Stati in bilico del 2000 sia capovolto: i sondaggi non hanno l'identikit politico di chi voterà la prima volta, cosa che spiega in parte le loro sensibili oscillazioni, un giorno a favore di Bush, l'altro di Kerry.

In teoria, riferisce il New York Times , chi dovrebbe beneficiare maggiormente del fenomeno è Kerry. Le iscrizioni ai registri elettorali sono più alte nei quartieri poveri e tra le minoranze, dove operano gruppi di sinistra. Ma non è detto che le iscrizioni si traducano in un massiccio afflusso alle urne: nel '92 furono notevoli ma votò appena il 49,5% dell'elettorato. Sulle urne inoltre incombe lo spettro del terrorismo, molta gente potrebbe restare a casa per paura.

Infine, l'appello patriottico di Bush ha una forte presa anche sull’America meno fortunata. E' uno dei motivi per cui i candidati attribuiscono grande importanza ai loro dibattiti in tv. Questa notte, domani mattina in Italia, sarà il turno del vicepresidente Dick Cheney e di John Edwards, numero due di Kerry. Tra i loro obiettivi, «convertire» i nuovi elettori alla causa del proprio partito. E questi, a loro volta, punteranno gli occhi su Edwards: se Kerry fosse sconfitto, sarebbe uno dei papabili alle presidenziali nel 2008 con la ex First Lady Hillary Clinton.

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