Da Il Messaggero del 03/11/2004
Cuffaro a giudizio: «Favorì la mafia»
Ma il governatore siciliano è soddisfatto: accuse contro di me dimezzate
di Rita Di Giovacchino
ROMA - Sono stati rinviati a giudizio i tredici imputati dell’inchiesta su politici, imprenditori e “talpe” interne alla procura di Palermo. Tutti accusati di aver favorito la mafia. Nella lista c’è anche il nome del presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, chiamato a rispondere di favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa Nostra, reato per il quale comparirà nel processo che avrà inizio il 1 febbraio 2005. Le polemiche infuriano, il centro sinistra chiede le sue dimissioni, ma il governatore dice di essere tranquillo, convinto di poter dimostrare la propria innocenza: «Le accuse si sono già dimezzate nel corso dell’inchiesta, spero che il processo chiarisca definitivamente la mia estraneità alle accuse». Cuffaro non si dimetterà, sembra scontato, anche perché numerosi esponenti di centrodestra hanno fatto quadrato attorno a lui, manifestandogli stima e solidarietà.
Il suo nome emerse per la prima volta lo scorso giugno, nell’ambito di un’indagine avviata per controllare i movimenti del boss Giuseppe Guttadauro, considerato il nuovo capo della zona di Brancaccio, il quartiere di padre Puglisi. Il nome del governatore veniva più volte pronunciato nel corso di conversazioni tra medici, assessori e mafiosi. Conversazioni imbarazzanti che riguardavano affari, assunzioni, ma anche estorsioni, omicidi, intrecci tra ambienti politici e mafiosi che portarono all'arresto di numerose persone, fra cui anche l'ex assessore Miceli. Al presidente della Regione fu contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, poi caduto perché non sono mai emersi contatti diretti con Guttadauro. La procura ridimensionò l’accusa a favoreggiamento, contestandogli però la rivelazione di segreti d’ufficio. Un’accusa insussistente per il gup Bruno. Affermazione che Cuffaro considera una vittoria, sia pure a metà. Il pm Di Matteo sostiene invece che «la violazione del segreto è di fatto assorbita nel reato di favoreggiamento».
L’inchiesta, che in questi mesi ha messo in subbuglio la Procura, è gravida di “cimici” e di veleni. I filoni di indagine erano inizialmente due, “Ghiaccio” e “Talpe alla Dda”. Il nome di Cuffaro rientra nel primo. Con lui sono stati incriminati anche il medico Salvatore Aragona, l'ex assessore comunale Mimmo Miceli, il deputato regionale dell'Udc Antonio Borzacchelli (ex carabiniere) e l'imprenditore Michele Aiello, proprietario di una casa di cura vicina a Bagheria, dove fu organizzato un blitz nella speranza di catturare Provenzano. Niente di fatto, ma restano quella manciata di intercettazioni imbarazzanti che coinvolgono nomi noti della città in rapporti troppo amichevoli con boss ben informati di come la procura procedesse nei loro confronti. Notizie che potevano venire soltanto da persone che avevano accesso a informazioni riservate. E le indagini condussero al clamoroso arresto di due marescialli, Giuseppe Ciuro della Dia e Giorgio Riolo del Ros.
A palazzo d’Orleans è bufera. Leoluca Orlando, Nando Dalla Chiesa e Nichi Vendola hanno chiesto le dimissioni di Cuffaro. «Il governo della Regione non può essere coinvolto in questa vicenda», dicono. Ma il Governatore ha al suo fianco lo stato maggiore dell’Udc, di Forza Italia e anche di An. Dice il ministro degli affari Regionali Enrico la Loggia: «L'approfondimento dei fatti dimostrerà l'estraneità del presidente Cuffaro, aspettiamo con fiducia».
Il suo nome emerse per la prima volta lo scorso giugno, nell’ambito di un’indagine avviata per controllare i movimenti del boss Giuseppe Guttadauro, considerato il nuovo capo della zona di Brancaccio, il quartiere di padre Puglisi. Il nome del governatore veniva più volte pronunciato nel corso di conversazioni tra medici, assessori e mafiosi. Conversazioni imbarazzanti che riguardavano affari, assunzioni, ma anche estorsioni, omicidi, intrecci tra ambienti politici e mafiosi che portarono all'arresto di numerose persone, fra cui anche l'ex assessore Miceli. Al presidente della Regione fu contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, poi caduto perché non sono mai emersi contatti diretti con Guttadauro. La procura ridimensionò l’accusa a favoreggiamento, contestandogli però la rivelazione di segreti d’ufficio. Un’accusa insussistente per il gup Bruno. Affermazione che Cuffaro considera una vittoria, sia pure a metà. Il pm Di Matteo sostiene invece che «la violazione del segreto è di fatto assorbita nel reato di favoreggiamento».
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