Da La Stampa del 29/10/2004

Il trattato dovrà però essere ratificato entro due anni dalle singole nazioni

Punto per punto, cosa cambia con la nuova Costituzione

Doppia decisione, ridotto il potere di veto, nasce il ministro degli Esteri

di Emanuele Novazio

Approfondimenti / DOSSIER


 
I 25 Stati membri siglano a Roma il Trattato
L'Europa firma la Costituzione

L'Europa ha firmato la sua Costituzione. I rappresentanti dei 25 Stati membri hanno siglato il Trattato che, una volta ratificato dai governi nazionali, sancirà diritti doveri e regole dei cittadini dell'Unione Europea.
ROMA. Quando, a mezzogiorno in punto, i 25 capi di Stato e di governo dell’Ue riuniti nella Sala degli Orazi e Curiazi, in Campidoglio, firmeranno il testo della Costituzione europea approvata il 18 giugno scorso a Bruxelles, l’Unione avrà compiuto un passo certamente storico ma incompleto, ancora. Non soltanto perché non di una «Costituzione» vera e propria si tratta, ma piuttosto di un «Trattato» internazionale che mette ordine ai trattati precedenti e riorganizza il diritto europeo. E neanche perché il testo messo a punto nella Conferenza intergovernativa sulla base di quanto elaborato dalla Convenzione guidata da Giscard d’Estaing è il frutto di molti, anche se inevitabili, compromessi che rispecchiano i rapporti di forza fra Paesi e privilegiano soprattutto la cultura politica franco-tedesca. Ma soprattutto perché il Trattato che verrà firmato stamane dovrà essere sottoposto nei prossimi due anni alla ratifica, da parte dei parlamenti nazionali o per referendum. Un passo indispensabile, senza il quale la «Costituzione» non entrerà mai in vigore, ma anche insidioso: la ratifica non è sempre scontata, ed è anzi a rischio in Paesi come la Gran Bretagna, la Danimarca e la Polonia.

Entro i limiti imposti dalle esigenze delle politiche e degli interessi nazionali, il testo che d’ora in poi sarà noto come «Costituzione europea» ha comunque un grande significato complessivo: è il «luogo giuridico e fondante» dell’Unione, della quale riafferma i valori di cultura e identità (dalla dignità umana alla libertà, dalla democrazia all’uguaglianza, dallo stato di diritto al rispetto dei diritti umani), e della quale stabilisce gli obiettivi («promuovere la pace e il benessere dei popoli», «aprire ai cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne e un mercato unico», «adoperarsi per lo sviluppo sostenibile e per un alto livello di tutela dell’ambiente», «combattere le discriminazioni e l’esclusione sociale», «promuovere la parità fra uomini e donne»). Nei suoi 448 articoli non sempre di agilissima lettura, inoltre, contiene innovazioni importanti per il funzionamento dell’Ue. Vediamo le principali.


MECCANISMI DI DECISIONE. E’ stato tra i punti più discussi e controversi, dal momento che determina gli equilibri di potere all’interno dell’Unione. Per essere adottate, le decisioni del Consiglio devono ottenere l’approvazione di almeno il 55% dei Paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue, in modo da impedire che le leggi siano fatte da una maggioranza di Stati che rappresentano una minoranza della popolazione. Una «doppia rete di protezione» garantisce gli Stati minori: perché una decisione sia approvata i Paesi favorevoli devono essere almeno 15, perché una decisione sia bocciata i contrari devono essere almeno 4. In concreto: la Commissione fa una proposta di legge europea, e se il Parlamento l’adotta (a maggioranza semplice) la trasmette al Consiglio, che funziona come una seconda Camera e vota a doppia maggioranza.


POTERE DI VETO. Un altro punto delicatissimo per i suoi riflessi sul potere decisionale dei singoli Paesi in aree considerate di interesse nazionale strategico. I settori delle decisioni a maggioranza sono aumentati, ma il veto resta possibile nei settori sociale e fiscale, per la difesa e in molti casi anche per la politica estera. In alcuni settori - la giustizia, per esempio - il veto non esiste formalmente ma viene reintrodotto attraverso il cosiddetto «freno d’emergenza»: un Paese contrario a una decisione presa a maggioranza qualificata può chiederne un nuovo esame da parte del Consiglio europeo, che riunisce i capi di governo.


ISTITUZIONI. Viene istituita la figura del «presidente stabile» del Consiglio: è eletto dal Consiglio stesso a maggioranza qualificata e resta in carica due anni e mezzo rinnovabili una volta, garantendo così maggiore continuità alla guida dell’Ue rispetto alle attuali presidenze semestrali a rotazione. Il Parlamento europeo acquista nuovi poteri diventando il legislatore di diritto comune dell’Unione: aumentano i settori in cui ha facoltà di «co-decisione» con il Consiglio per le scelte che richiedono votazioni a maggioranza qualificata. La Commissione, oggi formata da un rappresentante di ogni Paese, a partire dal 2014 avrà un numero di commissari pari ai due terzi degli Stati membri. Vengono proposte anche «presidenze di gruppo» per le varie formazioni del Consiglio: composte di 3 Stati, restano in carica 18 mesi.


MINISTRO DEGLI ESTERI. Sostituirà l’attuale Alto rappresentante, e contribuirà all’elaborazione della politica estera e di sicurezza comune. Ma la permanenza del diritto di veto comprimerà i suoi poteri. Avrà inoltre una duplice collocazione, in quanto membro del Consiglio e vice presidente della Commissione: un «doppio cappello» considerato fonte di ambiguità da molti critici.


COOPERAZIONI RAFFORZATE. Vi potranno ricorrere i Paesi che vogliono intensificare la collaborazione in particolari settori (anche nella difesa). Ma il Trattato sottolinea che «mirano a promuovere gli obiettivi dell’Unione», e che per avviarle è necessario un voto all’unanimità di tutti gli Stati membri. Chi vi partecipa deve inoltre rispettare parametri pertinenti al settore interessato, anch’essi decisi all’unanimità. Secondo i critici, tuttavia, resta alto il rischio della loro trasformazione in un vero e proprio sistema a «doppia velocità»: col rischio di creare una distanza irrecuperabile fra i Paesi che vi aderiscono e gli altri.

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