Da La Repubblica del 23/10/2004

Quando il Paese si sente povero

di Giuseppe Turani

L´ultimissima rilevazione dell´Istat sull´andamento dei consumi in Italia ci dice che in agosto eravamo sotto di quasi il 2 per cento rispetto a un anno fa. E ci dice anche che nei primi otto mesi dell´anno i consumi sono rimasti dov´erano, non sono cresciuti nemmeno di un millimetro. Il che significa che nei primi otto mesi di quest´anno gli italiani hanno consumato esattamente quello che avevano consumato nei primi otto mesi dell´anno scorso. Forse, quando saranno disponibili i dati disaggregati, scopriremo che magari hanno consumato un po´ più di pasta e di pane a dispetto di altri alimenti più pregiati che invece risulteranno in discesa.

Dati di questo genere non hanno quasi bisogno di commenti.

Forniscono immediatamente il ritratto di un paese che di colpo si sente povero, che non tenta più di uscire dal recinto dei propri consumi consolidati, ma che dentro quel recinto si aggira, sempre più guardingo e attento.

Sono numeri che, dentro di sé, concentrano anche tutto quell´insieme di ansie e di paure che spesso i sondaggi più specifici magari non registrano. Un paese ottimista, sicuro che le cose si stanno muovendo e che l´economia sta andando avanti, è un paese che aumenta i propri consumi, che sperimenta, che passa dal maglione di lana a quello di cachemire, dal pesce azzurro a qualche tipo di pesce un po´ raffinato e costoso e che, magari, ogni tanto si permette anche una bottiglia di vino come si deve.

Ci sono quelli che da anni fanno una polemica (molte volte anche giusta) contro l´eccessivo consumismo della società contemporanea, ma qui, oggi in Italia, siamo di fronte a una società che davanti alle vetrine del lusso (ma anche dal salumaio e dal verduraio) frena non per una sorta di autocritica, ma perché avverte che non viviamo più in tempi facili (e nemmeno molto felici).

La gente consuma meno, di solito, per due sole e esclusive ragioni: perché ha meno soldi in tasca e perché dispera di averne di più domani o la settimana prossima.

E questa è esattamente la situazione in cui oggi si trovano moltissime famiglie italiane. Hanno meno soldi in tasca perché l´inflazione e aumenti vari di balzelli e tariffe hanno provveduto a una robusta scrematura. Inoltre, non vedono molto chiaro davanti a sé. Non vedono cioè la «svolta» che possa tornare a riempire le loro tasche o, almeno, a ricostituire il reddito che è sparito nel vortice dei prezzi e dei balzelli.

Un dato come quello di ieri dell´Istat (consumi fermi da otto mesi) è di quelli che di solito fanno scattare tutti i campanelli d´allarme in ogni paese civile e appena appena consapevole di come stanno le cose in economia. E´ un dato capace di dare pesanti mal di testa ai responsabili della politica economica perché segnala lo stallo, il blocco, del paese. Qui, invece, governo, maggioranza, telegiornali e altri mass media sono diventati specialisti nell´attesa della ripresa. E quindi il dato viene scartato perché, si dice, «tanto è già arrivata la ripresa», e quindi cambierà tutto. E nel nostro caso si cita un dato un po´ anomalo sulla produzione industriale in agosto.

Purtroppo, non è così. Tutti gli esperti di congiuntura internazionale spiegano che in Europa il meglio della ripresa si è avuto fra giugno e luglio, sta cioè alle nostre spalle. Da adesso in avanti c´è la frenata. Secondo alcuni nel corso dei prossimi sei mesi in Europa potremmo anche rivedere una vecchia conoscenza, e cioè la recessione. Recessione che potrebbe durare sei o nove mesi, a seconda di come si muoverà il prezzo del greggio.

Se questo è, come dicono gli specialisti, lo scenario, non meraviglia che le famiglie siano diventate molto prudenti (gli imprenditori lo sono da molto prima, e infatti non investono).

Ma le famiglie sono diventate prudenti non solo perché non vedono rosa di fronte a sé, ma anche, se non soprattutto, perché hanno sperimentato che il governo, questo governo, vive passivamente i rovesci congiunturali. Li vive come gli antichi vivevano i fulmini e i temporali. Di solito questo governo non vede nemmeno i rovesci congiunturali (come è accaduto dal 2001 in avanti) e quando li vede, o li nega o non fa assolutamente niente. Quindi le famiglie si sentono sole davanti alla «cattiva» economia e sanno di avere una sola risorsa e difesa possibile: stringere un po´ la cinghia, qualche patata e qualche chilo di pasta in più, qualche viaggio in meno, qualche pieno di benzina saltato.

Tutto questo, purtroppo, oltre a creare disagio nelle famiglie, innesca anche una spirale perversa e negativa. La cattiva congiuntura, se poi non si consuma, diventa ancora più cattiva e quindi obbliga la gente a consumare ancora di meno, con il risultato che la cattiva congiuntura si incattivisce ulteriormente.

Proprio due giorni fa la grande banca d´affari Morgan Stanley ha pubblicato uno studio in cui si spiegava che negli ultimi cinque anni l´Italia è il paese che ha aumentato meno di tutti i grandi paesi dell´area euro le proprie esportazioni. In compenso, diceva questo studio, in Italia (a differenza della Germania) i consumi tengono abbastanza, e questo consente all´economia di respirare, di non morire, anche se poi è noto che abbiamo avuto dei tassi di crescita inferiori a tutti gli altri.

Da ieri, purtroppo, sappiamo che anche i consumi, ultima frontiera di questa nostra strisciante e malandata economia, hanno ceduto.

La macchina è ferma in mezzo alla strada e la Finanziaria che dovrebbe rimetterla in moto è diventata, più che altro, una sorta di infinita sequenza di numeri quasi senza senso, un vero rompicapo algebrico: 24+6-12+7-9 fa sviluppo o fa bancarotta?

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