Da La Stampa del 27/10/2004
Americana
Tutti infettati dalla «sindrome della Florida»
di Lucia Annunziata
L'unica domanda decente da farsi di fronte ai timori di brogli elettorali che i due candidati sventolano davanti al paese, è: come mai una nazione che ha il livello tecnologico più avanzato della storia dell’umanità non è riuscita a darsi un sistema elettorale a prova di brogli? Come mai un paese come gli Usa va a votare con gli avvocati-osservatori e rappresentanti-di-lista-militanti come in El Salvador o le Filippine?
La risposta a questi interrogativi può, sfortunatamente, essere una sola: perché la politica non ha incentivi a una messa a punto del sistema di voto. Amara conclusione, che però emerge nella mente di molti commentatori e molti analisti.
Le ultime ore della campagna elettorale sono ormai ridotte a questo: in una vignetta di «Usa Today» c’è il traguardo «Presidenza» e dietro il filo da tagliare si accalca una moltitudine di avvocati. La convinzione è che alla fine il voto sarà deciso dalle dispute sulla legittimità e dalle capacità dei due team di attuare o prevenire meccanismi di delegittimazione.
E’ la sindrome della Florida, che ha infettato il sistema intero - al punto da definire, e alcuni dicono «deformare», l’intero processo.
Guardiamo ad esempio le strategie: entrambi i candidati quest’anno hanno adottato schemi di scontro che porteranno alla vittoria senza dover dipendere dai 27 grandi elettori della Florida. Per fare questo, in Florida sono stati scaricati decine di avvocati che controllano, di militanti politici che tengono alta la pressione per far andare a votare tutti, e per essere sicuri della verifica si è cominciato a votare da due settimane. Il sistema, però, messo in sesto da una parte si è storto dall’altra. L’Ohio è divenuto ora lo Stato dove si concentrano i timori di brogli. I democratici ricorreranno a due milioni di telefonate di militanti per mobilitare i votanti. I repubblicani hanno annunciato che metteranno in campo 3.600 «challengers», l’equivalente dei nostri rappresentanti di lista, con in più il potere legale di chiedere voto per voto una verifica sulle irregolarità. Una vera e propria arma impropria: «Bastano pochi challengers ben piazzati per rallentare, intimorire, o invalidare il processo», scrive il «New York Times».
Avvocati, challengers, organizzazioni di base, liste di votanti che vengono discusse ancora prima del voto. In tutto questo si può certo leggere una grande passione per la politica che risorge. Ma resta incomprensibile il perché di questi continui buchi nel sistema: in un’era in cui i passaporti e i documenti ufficiali sono a riconoscimento visuale, e la carta di credito per le spese correnti si firma digitalmente in qualunque negozio, non si trova ragione delle difficoltà della identificazione del voto. Se non, appunto, nell’interesse di fondo a tenerlo in questo stato.
La risposta a questi interrogativi può, sfortunatamente, essere una sola: perché la politica non ha incentivi a una messa a punto del sistema di voto. Amara conclusione, che però emerge nella mente di molti commentatori e molti analisti.
Le ultime ore della campagna elettorale sono ormai ridotte a questo: in una vignetta di «Usa Today» c’è il traguardo «Presidenza» e dietro il filo da tagliare si accalca una moltitudine di avvocati. La convinzione è che alla fine il voto sarà deciso dalle dispute sulla legittimità e dalle capacità dei due team di attuare o prevenire meccanismi di delegittimazione.
E’ la sindrome della Florida, che ha infettato il sistema intero - al punto da definire, e alcuni dicono «deformare», l’intero processo.
Guardiamo ad esempio le strategie: entrambi i candidati quest’anno hanno adottato schemi di scontro che porteranno alla vittoria senza dover dipendere dai 27 grandi elettori della Florida. Per fare questo, in Florida sono stati scaricati decine di avvocati che controllano, di militanti politici che tengono alta la pressione per far andare a votare tutti, e per essere sicuri della verifica si è cominciato a votare da due settimane. Il sistema, però, messo in sesto da una parte si è storto dall’altra. L’Ohio è divenuto ora lo Stato dove si concentrano i timori di brogli. I democratici ricorreranno a due milioni di telefonate di militanti per mobilitare i votanti. I repubblicani hanno annunciato che metteranno in campo 3.600 «challengers», l’equivalente dei nostri rappresentanti di lista, con in più il potere legale di chiedere voto per voto una verifica sulle irregolarità. Una vera e propria arma impropria: «Bastano pochi challengers ben piazzati per rallentare, intimorire, o invalidare il processo», scrive il «New York Times».
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