Da La Repubblica del 25/10/2004

Gli assassini del nuovo stato

di Khaled Fouad Allam

La strage - una vera e propria esecuzione - degli allievi poliziotti iracheni, avvenuta ieri, è certamente diversa da tutti gli attentati degli ultimi mesi, ma come quelli riconduce sempre alle stesse domande: perché quella violenza, e a che logica risponde quella violenza. Finora, nella nostra pubblicistica, abbiamo utilizzato due categorie: quella della guerriglia-resistenza e quella del radicalismo islamico. In realtà questi termini non rendono conto di ciò che è nato in Iraq, e di ciò che si può considerare una delle costanti del funzionamento delle società musulmane.

Oggi si assiste infatti in Iraq a un fenomeno di privatizzazione della violenza: nel senso che quella violenza non è frutto di un vasto movimento di contestazione che si appoggia su un esteso blocco sociale, come sarebbe per qualunque altro tipo di resistenza, ma è una violenza di piccoli gruppi, che esercitandola vogliono strutturare lo spazio politico iracheno, per poter in seguito inserirsi nel gioco politico di quella che sarà la futura società irachena. Tra questi gruppi quello di Al Zarqawi, che ieri ha rivendicato la strage delle reclute, è il più agguerrito, il più spietato e anche il più organizzato. Ma non è sicuramente l´unico. Ciò spiega la probabile alleanza strategica fra gruppi diversi - ad esempio fra nazionalisti e radicali, nonostante abbiano visioni diametralmente opposte della società - finalizzata a indurre l´avversario a tener conto della loro esistenza nel gioco politico. Questo tipo di pressione è già stato esercitato, ad esempio, dalle milizie di Moktada Al Sadr.

L´altra caratteristica di quella violenza è che è esercitata da piccoli gruppi, proprio perché essa non trova un´adesione massiccia nella popolazione irachena; perciò si può parlare di una privatizzazione della violenza. Questa violenza obbedisce ad alcune costanti delle società musulmane, che troviamo anche in Iraq. Il politologo Bertrand Badie ha sviluppato l´idea che in terra d´islam non esista realmente un´alternativa fra sottomissione e rivolta, perché domina una cultura dell´alienazione, che si esprime attraverso lo stato oppure attraverso logiche intermedie quando lo stato entra in crisi. Questo è il caso dell´Iraq oggi, che non riesce ad assestare la sua nuova legittimità politica.

La violenza viene esercitata secondo due criteri, un criterio etnico e uno religioso. Il criterio etnico rimanda al fatto che la solidarietà di gruppo è tale che nella tribù tutti devono essere uniti: se qualcuno infrange l´unità del gruppo, viene punito con la morte. Criterio religioso significa che il radicalismo islamico definisce una visione totalitaria della società che non accetta alcuna contestazione al suo progetto. La caratteristica di quella violenza è quindi che essa si esercita direttamente sui gruppi, etnici e religiosi, tenendoli costantemente sotto pressione, perché in quella società rimane presente una cultura del patto fra i gruppi, e non vi è una cultura della cittadinanza.

Tutto questo avviene anche perché gli ultimi dieci anni del regime di Saddam Hussein sono stati caratterizzati da un doppio registro: quello nazionalistico, talvolta impregnato dal discorso religioso, e quello tribale, diffuso in tutto il mondo arabo. In Iraq non basterà costruire e promuovere la democrazia, ma si dovrà inventare un modello di cittadinanza, senza il quale la democrazia rischia di rivelarsi un trompe-l´oeil.

L´attuale stato iracheno si trova di fronte a una violenza che non riesce a dominare, perché quella violenza è anche espressione di una crisi delle strutture della società irachena. L´ideologia portante del sistema iracheno - il nazionalismo del partito Ba´ath - che aggregava popolazioni e religioni diverse è uscito di scena: lo stato iracheno si trova dunque svuotato della sua articolazione politica. Di fronte a quel vuoto, le varie espressioni ideologiche, etniche e religiose, anche se minoritarie, tendono a frenare la ricostruzione dello stato, anzi hanno campo libero nell´opporvisi, perché nella società irachena è venuto meno il sistema di aggregazione.

L´attuale situazione in Iraq si configura come una sorta di competizione fra uno stato che si riformula e una violenza che vuole impedire quella dinamica: una violenza che parte da un fronte frammentato, risultante da pulsioni delle società tradizionali, oppure da schemi ideologici che la stessa popolazione irachena non condivide. Quella violenza agisce entro il territorio ma allo stesso tempo si proietta fuori di esso, perché non ha disegni politici precisi se non i richiami del radicalismo islamico, che negli ultimi anni cerca ovunque terreni fertili. Ma il desiderio della gente irachena è ben altro: quello di uscire dalla violenza.

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