Da Corriere della Sera del 25/10/2004
Costretti a sdraiarsi a terra. Poi il colpo alla nuca
Strage di reclute del nuovo esercito di Bagdad: 49 morti. Rapito un bambino, chiesti 150 mila dollari
di Renzo Cianfanelli
NASSIRIYA - Anche Nassiriya, nella guerra del terrore che sta insanguinando il centro e il nord dell’Iraq, si sente in prima linea. Erano di Nassiriya molti degli aspiranti soldati del nuovo esercito iracheno assassinati 650 chilometri più a nord nella provincia di Diyala, non lontano dal confine con l’Iran. Qui i professionisti del massacro hanno colpito, con perfetta precisione e senza scampo.
Le vittime erano reclute che si stavano addestrando: 46 allievi con 3 autisti, che tornavano a casa in licenza su tre pulmini, di sera senza scorta e disarmati. In totale 49 morti, tutti uccisi con la tecnica delle più spietate «esecuzioni» criminali. Faccia a terra, mani dietro la schiena e un colpo di pistola alla nuca. Tutti allineati a gruppi di dodici sull’asfalto accanto ai rottami dei veicoli incendiati, con il portafogli intatto e i documenti in tasca, senza scarpe.
La strage, rivendicata ieri con un comunicato su Internet dal gruppo di Abu Mussab Al Zarkawi, è avvenuta a qualche chilometro dalla cittadina di frontiera di Mandali, 130 chilometri a est di Bagdad, ma quasi tutti i futuri soldati massacrati venivano dal Sud. A parte Nassiriya, parecchi erano di Amara, dove si trova quello che sarebbe l’albero del Bene e del Male del Paradiso Terrestre.
Altri ancora venivano da Bassora, la città che per i suoi molti canali viene chiamata «la Venezia dell’Oriente». Ma Bassora oggi è una Venezia decaduta ed impoverita, invasa dalla sporcizia e dalla polvere dove, come in tutta la regione, una delle poche prospettive immediate di lavoro è quella di arruolarsi militare o poliziotto.
«Li abbiamo trovati così - dice Yassim Saadi della Guardia Nazionale di Mandali - tutti in fila e tutti uccisi nello stesso modo, alcuni con le mani legate rivolte verso l’altro perché i corpi erano stati trascinati sull’asfalto. A dare l’allarme sono stati gli abitanti del villaggio, che hanno sentito i colpi d’arma da fuoco, ma quando siamo arrivati i terroristi erano spariti». Gli assassini, a detta di un funzionario della polizia, si sarebbero serviti di infiltrati perché l’agguato è stato calibrato con precise informazioni sugli orari e sull’itinerario, allestendo anche un posto di blocco con falsi poliziotti. Poi, quando i veicoli si sono fermati per quello che aveva l’apparenza di un controllo regolare, il massacro è incominciato, e nel giro di minuti tutto si è concluso.
L’efficienza devastante di questo nuovo attacco è un duro colpo per il governo provvisorio dell’Iraq. L’amministrazione presieduta da Iyad Allawi, è vero, può vantare dei progressi negli sforzi per ristabilire l’ordine in alcune aree strategiche, come l’importante caposaldo sunnita di Samarra, che è tornato sotto il controllo della polizia, e il parziale disarmo di Sadr City, il sobborgo sciita della capitale.
Ma la situazione, nel Centro e nel Nord dell’Iraq, è tutt’altro che sicura. Lo dimostra il rapimento di un bambino di 7 anni di nazionalità libanese, sparito sabato a Bagdad mentre si stava recando a scuola. In questo caso la motivazione sarebbe però non politica ma criminale, come sembra confermare la richiesta di un riscatto di 150.000 dollari.
Preoccupante è inoltre, a Bagdad, il succedersi degli attacchi contro le zone cosiddette «di sicurezza». Alle continue esplosioni di bombe nel centro della città si è aggiunto ieri, non per la prima volta, il lancio di mortai a Camp Victory, la base Usa vicina all’aeroporto che ospita anche il carcere nel quale è rinchiuso Saddam. Nell’attacco un diplomatico americano del Dipartimento di Stato è rimasto ucciso.
Le vittime erano reclute che si stavano addestrando: 46 allievi con 3 autisti, che tornavano a casa in licenza su tre pulmini, di sera senza scorta e disarmati. In totale 49 morti, tutti uccisi con la tecnica delle più spietate «esecuzioni» criminali. Faccia a terra, mani dietro la schiena e un colpo di pistola alla nuca. Tutti allineati a gruppi di dodici sull’asfalto accanto ai rottami dei veicoli incendiati, con il portafogli intatto e i documenti in tasca, senza scarpe.
La strage, rivendicata ieri con un comunicato su Internet dal gruppo di Abu Mussab Al Zarkawi, è avvenuta a qualche chilometro dalla cittadina di frontiera di Mandali, 130 chilometri a est di Bagdad, ma quasi tutti i futuri soldati massacrati venivano dal Sud. A parte Nassiriya, parecchi erano di Amara, dove si trova quello che sarebbe l’albero del Bene e del Male del Paradiso Terrestre.
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L’efficienza devastante di questo nuovo attacco è un duro colpo per il governo provvisorio dell’Iraq. L’amministrazione presieduta da Iyad Allawi, è vero, può vantare dei progressi negli sforzi per ristabilire l’ordine in alcune aree strategiche, come l’importante caposaldo sunnita di Samarra, che è tornato sotto il controllo della polizia, e il parziale disarmo di Sadr City, il sobborgo sciita della capitale.
Ma la situazione, nel Centro e nel Nord dell’Iraq, è tutt’altro che sicura. Lo dimostra il rapimento di un bambino di 7 anni di nazionalità libanese, sparito sabato a Bagdad mentre si stava recando a scuola. In questo caso la motivazione sarebbe però non politica ma criminale, come sembra confermare la richiesta di un riscatto di 150.000 dollari.
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