Da Corriere della Sera del 22/10/2004

Blair sposta soldati a Baghdad per aiutare Bush

La Gran Bretagna smentisce di voler dispiegare altri 1.300 militari. Il ministro degli Esteri iracheno polemizza con Annan: «Ci ha mandato soltanto 35 persone, a Timor Est erano 300»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - La Gran Bretagna accoglie la richiesta Usa di ridispiegare alcuni reparti britannici nelle zone più calde dell’Iraq, e decide l’invio di 850 uomini a Iskandariya, 40 chilometri a sud-ovest di Bagdad, «per disimpegnare un'unità americana destinata ad altri compiti». Lo ha spiegato, ufficialmente, a Londra davanti alla Camera dei Comuni il ministro della Difesa britannico, Geoff Hoon. Ma allo stesso tempo il prossimo marzo le truppe olandesi in Iraq, 1.400 uomini, torneranno in patria perché il loro mandato sarà scaduto. Parola del ministro della Difesa olandese, Henk Kamp: «Saranno trascorsi 20 mesi, uno sforzo sufficiente».

E' la conferma che da un lato la coalizione intende ripristinare l'ordine in vista delle elezioni irachene di gennaio, ma dall'altro deve individuare una exit strategy (via d'uscita) in tempi ravvicinati. Due obiettivi a cui si frappongono alcuni ostacoli, tra cui l’inadeguata presenza dell'Onu, chiamato a legittimare il processo elettorale e politico in Iraq. Il ministro degli Esteri iracheno, Hoshiyar Zebari, ha protestato: «L’Onu ha mandato soltanto 35 persone contro le 300 che nel 1999 furono inviate a Timor Est, in guerra come noi».

A Londra, Hoon ha spiegato al Parlamento che il trasferimento da Bassora nel sud a Bagdad degli 850 uomini, il reggimento di fanteria scozzese Black Watch più alcune unità di supporto, «è dovuto a motivi militari urgenti, non politici», ossia non è per fare rieleggere Bush. Il ministro ha sottolineato che si tratta di «un passaggio chiave per permettere lo svolgimento delle elezioni», che i soldati rimarranno sotto il comando inglese, la loro missione durerà «non mesi ma settimane». I Black Watch , ha assicurato Blair in persona, «saranno a casa per Natale» come previsto dalle regole d’ingaggio.

Hoon ha precisato che il governo «deve sostenere la coalizione in un momento cruciale» ma nega recisamente che il premier Blair voglia dispiegare altri 1.300 uomini in Iraq. Numerosi parlamentari e le famiglie dei Black Watch hanno protestato, e per questo Blair ha temporeggiato per dieci giorni. Ma alla fine la Casa Bianca ha potuto tirare un respiro di sollievo e ringraziare Londra. Il ridispiegamenti è un passo avanti verso la riconquista delle città perdute, meta che il Pentagono spera di raggiungere con rinforzi di 10.000-15.000 soldati Usa prima delle elezioni irachene.

Il preannunciato ritiro olandese non inciderà su questa tabella di marcia. Incontrando il premier iracheno Allawi, il ministro Kamp ha promesso che le sue truppe faranno la loro parte in vista delle elezioni.

Scoppia, invece, la polemica sulla presenza dell’Onu in Iraq. Kofi Annan ha risposto alle critiche del ministro degli Esteri iracheno dal Palazzo di Vetro di New York: «Le elezioni sono tecnicamente possibili - ha detto - continuiamo a dare consigli agli iracheni. Ma per aumentare il personale a Bagdad c'è bisogno - ha aggiunto il segretario generale dell’Onu - di un solido accordo per la sua protezione e un miglioramento della sicurezza».

L'accordo per ora manca. Soltanto il governo delle Figi, le isole del Pacifico, ha acconsentito a mandare 155 soldati e 24 guardie del corpo per proteggere il personale delle Nazioni Unite. Mentre l’Australia fornirà equipaggiamento ai militari figiani ma non invierà truppe. La Georgia, l'altro stato interpellato dall’Onu, non si è ancora pronunciato. Con queste premesse sarà difficile soddisfare le richieste di Annan che voleva una forza internazionale di 4.000 uomini.

La decisione della Gran Bretagna è un richiamo a tutti, Onu compreso, a far fronte alle proprie responsabilità in Iraq. L'Olanda, presidente di turno dell'Ue, vuole accelerare l'addestramento dell'esercito e della polizia iracheni e la ricostruzione del Paese. Sono i temi che saranno discussi alla Conferenza internazionale in Egitto il prossimo 22 novembre. Un summit che potrebbe segnare una svolta importante se l'Iraq ottenesse l'aiuto dei Paesi arabi invitati. Ma le elezioni potrebbero riservare qualche sorpresa agli americani. Secondo un sondaggio, l'Iraq eleggerebbe presidente non il suo alleato Allawi ma Abdel Aziz al Hakim, il leader del Consiglio rivoluzionario islamico. Assicura il segretario Colin Powell: «Se elezioni fossero giuste e trasparenti, ne accetteremmo l'esito».

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