Da La Repubblica del 18/10/2004

La denuncia dell´Osce: risultati già scritti. Brogli, intimidazioni, candidati uccisi. Il Paese ora teme la guerra civile

Bielorussia, elezioni nel terrore

Il voto-farsa premia il presidente Lukashenko, erede dello stalinismo

Oggi manifestazione dei dissidenti per chiedere la destituzione del dittatore

di Giampaolo Visetti

MOSCA - Ieri la Bielorussia è stata costretta a concedere al presidente Alexander Lukashenko il diritto di governare a vita. L´ex repubblica sovietica confinante con tre delle nuove nazioni Ue (Polonia, Lituania e Lettonia), ufficialmente è andata alle urne per le legislative. Ad esse, ai primi di settembre, è stato abbinato un referendum per abrogare la legge che vietava al presidente di candidarsi ad un terzo mandato. Decine di dissidenti, rei di aver organizzato comizi contro le autorità, sono stati arrestati. Gli oppositori, nelle ultime settimane, sono stati vittime di pestaggi. Tre leader dei superstiti partiti anti-regime, risultano scomparsi. Di alcuni omicidi misteriosi è stata provata l´origine di delitti di Stato. Chi ha osato manifestare la propria contrarietà all´estensione dell´incarico, in scadenza tra due anni, è stato licenziato. In un Paese dove poco meno dell´80% delle attività è in mani pubbliche, manifestare liberamente al di fuori della propria cucina costa caro. L´ultima dittatura europea, dichiaratamente ispirata allo stalinismo, ha imposto ai cittadini l´umiliazione di doverla pure legalizzare.

L´esito del voto-farsa, denunciato dagli osservatori dell´Osce e non riconosciuto dalla comunità internazionale, era scontato. Secondo gli exit poll di ieri, l´80 per cento degli elettori ha detto sì ad un terzo mandato per Lukashenko. Per un sondaggio del Centro «Levada» di Mosca, alle urne sarebbe andato il 76% dei circa 8 milioni di elettori. Il 47% dichiarava di votare per la proroga a Lukashenko, il 37% contro. La legge, per assegnare la vittoria al presidente, prevede però che i sì superino il 50% più uno dell´intero corpo elettorale. Il 15% mancante non è mai stato un problema. Organizzazioni non governative, cittadini, i rari e coraggiosi giornalisti indipendenti, sabato hanno mostrato decine di schede già compilate. I verbali del referendum erano già stati scritti, il risultato definito.

Dopo il trionfo di Lukashenko, costruito sul terrore, i bielorussi temono un bagno di sangue. Per oggi pomeriggio i dissidenti, costretti a comunicare tramite giornalisti stranieri e volantini clandestini, hanno indetto una manifestazione in un parco alla periferia di Minsk. Si stima che almeno 70 mila persone denunceranno i brogli chiedendo la libertà e la fine del regime, la destituzione del dittatore. Il bocciolo che vorrebbe fiorire in una «rivoluzione delle rose», come in Georgia un anno fa, potrebbe essere schiacciato da arresti e pestaggi della guardia presidenziale.

La società, in queste ore, appare paralizzata e senza speranza. Un mese fa sono state chiuse le ultime due televisioni private, con le radio indipendenti ed i giornali. Ai quattro esponenti dell´opposizione in parlamento è stato proibito di ricandidarsi: una commissione di Stato avrebbe scoperto irregolarità nella presentazione delle firme. Tivù, le linde strade e i giornali, per mesi hanno diffuso solo e all´infinito il verbo e il volto baffuto di Lukashenko. L´ex capo di un kolkhoz, 50 anni, il solo nel 1991 ad aver votato contro lo scioglimento dell´Urss, a capo del regime dal 1994, ha reintrodotto anche la bandiera di epoca sovietica. Si fa chiamare «padre» ed esalta successi economici smentiti dagli indicatori stranieri. Ha nel presidente russo Vladimir Putin, pure tentato da una modifica costituzionale che gli consenta il terzo mandato, un grande alleato. Mosca gradisce il cuscino duro di Bielorussia e Ucraina (dove a fine mese l´uomo del Cremlino, l´attuale premier Viktor Yanukovich, è destinato a succedere al presidente Leonid Kuchma) da frapporre tra sé e l´Ue. E la gente ancora non osa ribellarsi in massa per la paura di una guerra civile.

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