Da Corriere della Sera del 16/10/2004
ITALIA-USA
Bush o Kerry cambia poco
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Cosa cambierebbe per l'Italia e per il governo Berlusconi se Kerry fosse eletto presidente degli Usa? Praticamente nulla. Il rapporto tra i due Paesi continuerebbe a rafforzarsi, come avviene da oltre mezzo secolo, e Kerry avrebbe con il premier italiano più o meno la stessa sintonia di Bush. Come per i repubblicani, così per i democratici l'Italia è uno degli alleati più importanti e leali. Non solo per il contributo di pace - e non di guerra - che sta dando in Afghanistan e Iraq, ma anche perché ha sempre rappresentato e rappresenta per la Casa Bianca un cruciale punto di riferimento nella Ue e nella Nato. E perché ha svolto e svolge una preziosa funzione di ponte verso i Balcani il Nord Africa e il Medio Oriente per tutto l'Occidente, ed è portatrice di democrazia, pur con le sue debolezze.
Nell'altalena dei sondaggi, è impossibile anticipare il responso delle urne in America il 2 novembre: l'ultimo di ieri, quello Zogby Reuters , attribuiva 4 punti di vantaggio a George Bush, sebbene il presidente abbia perso tutti e tre i dibattiti in tv con Kerry, e quello del Washington Post vedeva alla pari i candidati. Ma i democratici hanno comunque delineato i capisaldi della loro politica estera in caso di vittoria. Uno è puntare su paesi come l'Italia e l'Inghilterra, osserva l'italo americana Nancy Pelosi, la prima donna capogruppo del partito alla Camera, per indurre altri membri della Ue e della Nato, incluse la Francia e la Germania, a collaborare in Iraq oltre che in Afghanistan: «Kerry ha un preciso impegno in merito - nota la Pelosi - non intende ritirarsi dall'Iraq, ma pacificarlo con l'aiuto delle nostre alleanze storiche».
Il generale Wesley Clark, il vincitore della guerra del Kosovo, consigliere di Kerry, afferma che i legami dell’America con l'Italia trascendono i capi di Stato e di governo in carica, come quelli con la Gran Bretagna. Ricorda che il premier britannico Tony Blair, il più stretto alleato di Bush, fu prima ancora alleato del democratico Bill Clinton, e non dubita che Kerry stabilirebbe con lui e con Berlusconi un rapporto analogo. L'obbiettivo prioritario della politica estera del senatore, conferma, sarà di recuperare con il loro appoggio la fiducia di quella che l'amministrazione Bush chiama «la vecchia Europa» in tutti i campi, dalla sicurezza all’ecologia. Kerry le è personalmente vicino: ha studiato in Svizzera, è cresciuto per un periodo in Francia, appartiene - per cultura, non anagrafe - alla generazione che la liberò dal nazismo nel '45.
Il senatore repubblicano John McCain, un amico di Kerry - entrambi combatterono in Vietnam - ritiene che Bush, se rieletto presidente, sarebbe meno unilateralista del primo mandato, come gli chiedono gli elettori nei sondaggi. E sottolinea che su alcuni punti Kerry non si discosterebbe dalla linea di Bush: non rinuncerebbe a esempio alla guerra preventiva «come estrema risorsa» né accetterebbe un veto alleato su di essa.
Ma ammette che Kerry, pur anteponendo gli interessi degli Stati Uniti a ogni altra cosa, «come è il dovere di ogni presidente», ritornerebbe subito al multipolarismo e al contenimento, le direttive tradizionali della politica estera americana, le fondamenta del trionfo occidentale nella guerra fredda. E farebbe di nuovo dell'Onu un foro di dibattiti e un motore di consensi.
Per lo storico Arthur Schlesinger, che come consigliere di John Kennedy favorì negli Anni sessanta l'avvento del centro-sinistra in Italia, è significativo che se votassero gli europei Kerry e non Bush vincerebbe le elezioni. Ma come McCain, Schlesinger pensa che in un secondo mandato Bush cercherebbe di colmare il divario che lo separa da parte dell'Europa. Farebbe un rimpasto di governo dandogli un volto più conciliante, e aprirebbe un dialogo. L'Italia è un partner irrinunciabile sia per Kerry sia per Bush nelle sfide del XXI secolo. Come tutti, Schlesinger rifiuta previsioni sul voto americano del 2 novembre. Ma ricorda che i presidenti americani scommisero tutti sull'Italia.
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Il generale Wesley Clark, il vincitore della guerra del Kosovo, consigliere di Kerry, afferma che i legami dell’America con l'Italia trascendono i capi di Stato e di governo in carica, come quelli con la Gran Bretagna. Ricorda che il premier britannico Tony Blair, il più stretto alleato di Bush, fu prima ancora alleato del democratico Bill Clinton, e non dubita che Kerry stabilirebbe con lui e con Berlusconi un rapporto analogo. L'obbiettivo prioritario della politica estera del senatore, conferma, sarà di recuperare con il loro appoggio la fiducia di quella che l'amministrazione Bush chiama «la vecchia Europa» in tutti i campi, dalla sicurezza all’ecologia. Kerry le è personalmente vicino: ha studiato in Svizzera, è cresciuto per un periodo in Francia, appartiene - per cultura, non anagrafe - alla generazione che la liberò dal nazismo nel '45.
Il senatore repubblicano John McCain, un amico di Kerry - entrambi combatterono in Vietnam - ritiene che Bush, se rieletto presidente, sarebbe meno unilateralista del primo mandato, come gli chiedono gli elettori nei sondaggi. E sottolinea che su alcuni punti Kerry non si discosterebbe dalla linea di Bush: non rinuncerebbe a esempio alla guerra preventiva «come estrema risorsa» né accetterebbe un veto alleato su di essa.
Ma ammette che Kerry, pur anteponendo gli interessi degli Stati Uniti a ogni altra cosa, «come è il dovere di ogni presidente», ritornerebbe subito al multipolarismo e al contenimento, le direttive tradizionali della politica estera americana, le fondamenta del trionfo occidentale nella guerra fredda. E farebbe di nuovo dell'Onu un foro di dibattiti e un motore di consensi.
Per lo storico Arthur Schlesinger, che come consigliere di John Kennedy favorì negli Anni sessanta l'avvento del centro-sinistra in Italia, è significativo che se votassero gli europei Kerry e non Bush vincerebbe le elezioni. Ma come McCain, Schlesinger pensa che in un secondo mandato Bush cercherebbe di colmare il divario che lo separa da parte dell'Europa. Farebbe un rimpasto di governo dandogli un volto più conciliante, e aprirebbe un dialogo. L'Italia è un partner irrinunciabile sia per Kerry sia per Bush nelle sfide del XXI secolo. Come tutti, Schlesinger rifiuta previsioni sul voto americano del 2 novembre. Ma ricorda che i presidenti americani scommisero tutti sull'Italia.
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