Da La Repubblica del 15/10/2004

In 22 pagine i brigatisti annotarono le sequenze di ciò che accadde dalle 5,30 alle 8.25 del 20 maggio di 5 anni fa

D´Antona, gli ultimi 130 passi ecco il diario br del suo omicidio

Galesi impugna la pistola in un sacchetto, lo fa passare, gli spara dal basso verso l´alto

di Claudia Fusani

ROMA - In ventidue pagine la sceneggiatura dell´omicidio di Massimo D´Antona. Le sequenze, minuto per minuto, parola per parola, di ciò che è successo in quelle tre ore, dalle cinque e mezzo alle 8 e 25 della mattina del 20 maggio di cinque anni fa. Il documento, di una freddezza e assurdità a cui non è possibile fare l´abitudine, è agli atti dell´udienza preliminare.

E´ ancora buio, le cinque e mezzo del mattino, quando i cinque brigatisti entrano in azione. La «squadra operativa offensiva», i due killer, è composta dal soggetto «A», Mario Galesi, e «B», Nadia Lioce. Le tre staffette sono Laura Proietti (indicata con la A), Cinzia Banelli (C) e la B ancora senza nome. Studiano da sei mesi «il soggetto», hanno pedinato, misurato, osservato. Sanno, ad esempio, che «dal civico 126 di via Salaria può uscire un´auto che va considerata come forza di polizia»; hanno notato una donna, «ma una volta sola», alle 5 e 30 alla fermata del bus; sanno come funzionano le telecamere di università e Banca di Roma e i gesti da fare per coprirsi il volto. L´"azione" era prevista l´11 maggio ma salta perché via Salaria è il set di un film. Mezzi e uomini vengono «approntati nuovamente» per il 18, il 19 (ma D´Antona non è a Roma) e il 20 maggio. «Quattro giorni prima dell´operazione deve cominciare l´operazione di parcheggio dei mezzi» si legge nel documento: i due furgoni Nissan in via Salaria, due scooter «per la fuga della squadra operativa offensiva»; le biciclette e un´auto per le staffette. Ognuno ha in dotazione «radio ricetrasmittenti, auricolari, le chiavi dei mezzi e finti telefonini per simulare le comunicazioni». Ma anche «cerotti da mettere sulle mani per non lasciare impronte», «cappellini con visiera e occhiali da vista», accessori per «limitare la riconoscibilità della fisionomia». Le staffette hanno «un abbigliamento di colore chiaro e di fattezze ampie». La squadra operativa offensiva invece veste «scuro sopra e chiaro sotto per la fase dell´allontanamento».

Alle cinque e mezzo tutti dormono ancora in casa D´Antona, all´ultimo piano del palazzo giallo ocra in via Salaria 128. Giù di sotto, in strada, Nadia Lioce e Mario Galesi si nascondono sul furgone Nissan parcheggiato sul lato del muro di cinta di Villa Torlonia. Portano con sé «cannochiale e binocolo» per osservare il soggetto dal piccolo foro ricavato grattando via la vernice che oscura i vetri, «il contenitore per urine» perché la sosta sarà lunga», baffi finti e smalto messo sui polpastrelli la sera prima dell´azione per non lasciare impronte. Galesi ha «una borsa rettangolare per l´arma lunga» e una «busta da boutique rigida che nasconde l´arma silenziata», la Carl Walther calibro 9. Lioce ha «un marsupio per l´arma corta», la Smith e Wesson calibro 38. Alle sette e dieci il professore è già sveglio, anche la moglie Olga, comincia una mattinata come tante, il risveglio, la colazione, i fiori da annaffiare in terrazza. Alle stessa ora ciascun elemento del gruppo ha raggiunto la posizione prevista, fa le prove radio. Usano nomi di battaglia e parole in codice. La squadra operativa offensiva si chiama «Gina», la staffetta A è «Franco», la B è «Mara, la C «Luisa». La frase: «Gina sente bene tutti» è il segnale che ognuno è al suo punto di osservazione e può comunicare. Alle 7.29 l´avvio dell´azione con un´altra frase: «Gina buongiorno». Da questo momento comincia l´attesa del soggetto.

Le staffette, per non dare troppo nell´occhio, leggono i giornali, fanno finta di parlare al telefono. Intanto via Salaria si anima ma troppo poco per capire cosa sta succedendo. «Angela sto arrivando» è la comunicazione che indica «l´avvistamento e l´aggancio del soggetto». Quando Massimo D´Antona esce dal portone e s´incammina verso lo studio in via Bergamo. Sono le 8,15. E dire che la pianificazione dell´azione dava come «tempo massimo per l´intervento le 8,25»: dieci minuti dopo e per la quarta volta Massimo D´Antona avrebbe evitato l´agguato.

Il professore si avvia lungo il marciapiede che costeggia Villa Albani, gli ultimi centotrenta passi della sua vita. «Una mattina come tante - scriverà cinque anni dopo la moglie Olga nel libro "Così raro, così perduto" - Ero serena, avevo gironzolato un po´ per la casa e mi ero presa cura delle piante...». Il professore cammina a testa bassa, nella mano destra la borsa di cuoio rosso gonfia di carte. Mario Galesi e Nadia Lioce scendono dal furgone e gli vanno incontro lungo lo stesso marciapiede. Si legge nel documento: «Arrivati al centro della copertura (il cartellone pubblicitario ndr) il soggetto A (Galesi ndr) impugna la pistola dentro il sacchetto, si muove come per far passare il soggetto (D´Antona) e fa fuoco con una traiettoria dal basso verso l´alto. L´obiettivo è l´annientamento certo del soggetto, ciò è ottenibile con colpi a punti vitali... ci sarà quasi il contatto fisico col soggetto che sarà colpito più volte in rapida successione». Sei colpi, due al cuore. Il professore prova a difendersi con le braccia, poi scivola lungo il muro stringendo ancora la borsa di pelle. Le radio dei brigatisti parlano di nuovo. «Gina fine». Gli altri rispondono. E´ il segnale. Operazione conclusa. Ognuno segue la via di fuga. Secondo copione.

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