Da La Repubblica del 14/10/2004

Il verdetto del governatore

di Massimo Riva

Mai un governatore della Banca d´Italia si era espresso in Parlamento con la durezza di linguaggio usata ieri da Antonio Fazio per fare letteralmente a pezzi la manovra finanziaria del governo Berlusconi. Critiche, puntualizzazioni, rettifiche, prese di distanza se ne sono registrate a iosa, in anni recenti e lontani, ogni volta che il vertice di via Nazionale veniva chiamato a dire la sua sulle proposte dell´esecutivo. Ma mai, davvero mai, lo stesso Fazio e i suoi predecessori avevano assunto il tono drastico, liquidatorio, a tratti sarcastico, che ha dominato l´intera audizione di ieri.

Un simile atteggiamento è seria fonte di allarme.

Ancora più della sentenza già preoccupante con la quale il governatore ha esordito davanti ai parlamentari, definendo «grave» lo stato dei conti pubblici emerso a metà di quest´anno. I tempi dei duelli rusticani con Giulio Tremonti appaiono quanto mai remoti e, in ogni caso, superati dalla politica di distensione verso Fazio inaugurata dallo stesso premier all´indomani delle dimissioni dell´ex ministro del Tesoro. Non c´era, insomma, qualche sottintesa ragione di conflitto per aspettarsi tanta asprezza di giudizi da parte di un governatore che ormai non aveva più motivo per sentirsi accerchiato da propositi politici a lui ostili.

Ecco perché si è autorizzati a temere che, nell´opinione della Banca d´Italia, la situazione reale della finanza pubblica sia considerata anche più drammatica di quanto dica il laconico aggettivo «grave».

Come risulta, del resto, confermato da quel passaggio della relazione nella quale Fazio avverte che il fabbisogno dello Stato rischia di arrivare presto al sei per cento, con conseguente ricrescita del peso del debito pubblico, mentre il saldo primario (spesa al netto degli interessi) lasciato in felice eredità positiva dalla gestione Ciampi tende rapidamente a tornare in rosso.

Questi tre segnali d´allarme bastano da soli a indicare su quale china minacciosa stia oggi scivolando la gestione dei conti pubblici, se non si faranno interventi correttivi efficaci.

E lo sono quelli delineati nella Finanziaria di Berlusconi e Siniscalco? È proprio rispondendo a quest´interrogativo che ieri Fazio ha scelto lo stile della critica più severa, anche quando in apparenza si è espresso con parole d´appoggio alle iniziative del governo. Il tetto del due per cento alle uscite dei ministeri? Ottimo proposito, ha detto il governatore, sottolineando l´urgenza di porre finalmente un argine alla spesa corrente lasciata crescere senza freni in questi ultimi anni. Ma ha soggiunto con trasparente scetticismo: attenzione, quel due per cento non è mica «l´uovo di Colombo che sta in piedi da solo», bisogna poi realizzarlo in pratica e, quindi, tagliare con apposite decisioni parecchie leggi di spesa. Come dire: l´idea è apprezzabile, ma così come sta scritta in Finanziaria fa temere che non abbia le gambe per camminare. E Fazio ci crede tanto poco da aver proposto addirittura che sia un´autorità speciale - non il governo - a monitorare, mese per mese, gli effetti reali del tetto al due per cento: una sberla di quelle che lasciano il segno.

Ancora più esplicito è stato il discorso del governatore laddove ha smascherato i trucchi della finanza acrobatica. Vendere le strade statali o gli immobili dei ministeri per fare cassa? Già, ha chiosato Fazio, ma il rovescio della medaglia è che così si caricano sui bilanci degli anni a venire i costi dei canoni d´affitto: un modo sicuro per far crescere e non calare la spesa corrente. Cioè, per realizzare esattamente l´opposto di quel che si vuol far credere di fare.

È, però, al presidente del Consiglio in persona che Fazio ha riservato i colpi più pesanti. Il primo sul tema del taglio delle imposte dove il governatore è stato lapidario, escludendo ogni ricerca di scorciatoie: minori tasse si possono decidere soltanto a fronte di minori spese effettive. Quanto alla seconda bordata, con piglio inusitato, Fazio ha dato in pratica del fanfarone a Berlusconi. Insiste il presidente del Consiglio nel proclamare che la Finanziaria non riduce gli investimenti. Sarà, ha replicato il governatore, ma il testo della legge dice precisamente il contrario. Ed ha concluso con ironia sorniona: io non so come si possano conciliare le due cose.

Su un solo punto - il progetto di realizzare incassi da privatizzazioni per cento milioni l´anno - Antonio Fazio ha dato semaforo verde senza riserve, giudicando questa la parte «più facile» della manovra. Ma francamente questo giudizio più che come un viatico benaugurante suona come il lancio, tra l´incredulo e il beffardo, di un guanto di sfida. Coi magri chiari di luna che si vedono sui mercati finanziari, domestici e no, si fa fatica a pensare che davvero in Via Nazionale credano alla praticabilità di un piano così faraonico in materia di dismissioni pubbliche.

Dulcis in fundo, va registrato che il governatore non si è limitato a criticare quel che c´è nella Finanziaria, ma ha voluto denunciare anche ciò che manca: in particolare, misure di rilancio per la competitività del sistema, che egli giudica urgenti e prioritarie. Anche perché, ha avvertito, l´economia del paese sta diventando come la terra di Pozzuoli: sembra galleggiare ma, in realtà, è al centro di un bradisismo dove il terreno si abbassa ogni anno di dieci centimetri. Una metafora tanto più inquietante perché viene dalla stessa persona che, all´esordio del governo Berlusconi, aveva fiduciosamente vaticinato un nuovo miracolo economico alle porte.

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