Da Corriere della Sera del 12/10/2004

Polemiche in Usa dopo un’intervista al «New York Times». Nuovi sondaggi, lo sfidante in testa

Kerry: «Il terrorismo? Un fastidio»

Bush lo attacca: «Non capisce il pericolo». I democratici: è stato frainteso

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Alla vigilia del terzo e ultimo dibattito alla tv con il presidente Bush, domani notte in Arizona, John Kerry ha prestato il fianco a una durissima critica della sua strategia contro il terrorismo. Domenica, in una intervista al magazine del New York Times , il candidato democratico ha asserito che il terrorismo «dovrebbe tornare a essere non il centro della nostra vita, ma un fastidio come il crimine organizzato e la prostituzione». La dichiarazione è stata estrapolata dalla Casa Bianca, che ha annunciato un nuovo spot televisivo contro Kerry: «Come potrà proteggere l'America - sarà il messaggio - se non capisce la minaccia terroristica?». Lo stesso Bush è sceso in campo: «Il mio avversario vorrebbe ridurre il terrorismo a un fastidio - lo ha deriso a un comizio -. Non potrei essere meno d'accordo. Noi non intendiamo ridurlo a un livello di fastidio accettabile. Intendiamo restare all’offensiva per distruggerlo e diffondere la libertà nel mondo».

L'estrapolazione, ha rilevato il New York Times , è una forzatura: il senso del lungo articolo del magazine è che secondo Kerry la guerra al terrorismo andrebbe combattuta, oltre che con le armi, anche con gli strumenti politici, economici, sociali e diplomatici, come la prostituzione e il crimine. Ma il paragone è stato indubbiamente un passo falso elettorale che potrebbe danneggiare il senatore: la politica interna, e quindi la sicurezza nazionale, non soltanto l'economia, l'istruzione, l'assistenza sanitaria, sarà il tema del match in Arizona. In un discorso, Kerry ha glissato, additando invece nella guerra in Iraq una delle cause del rincaro del petrolio.

Nell'intervista, Kerry ha detto che «come ex procuratore dello Stato, so che la prostituzione, il gioco d'azzardo e il crimine organizzato non finiranno mai, bisogna ridurne il livello e impedire che crescano».

Ha aggiunto che «non sono una minaccia alla vita quotidiana e alla libertà, ma qualcosa che si continua a combattere». E ha concluso che il terrorismo va riportato a quel livello. I repubblicani, che respingono ogni alternativa alla dottrina della guerra preventiva del presidente, sono esplosi. Marc Racicoff, il direttore del Comitato per la rielezione di Bush, ha commentato che Kerry «guarda al mondo con la mentalità di prima delle stragi dell'11 settembre 2001», accusandolo di esporre gli Usa «alla sconfitta nella guerra al terrorismo e in Iraq». Accusa respinta con furia da Phil Singer, il portavoce di Kerry: «Bush si è lasciato scappare Bin Laden e non sa come sconfiggere il terrore. Non meraviglia che strumentalizzi ciò che dice il senatore».

In difesa del senatore sono intervenuti gli uomini dell'ex presidente Bill Clinton. Madeleine Albright, l'ex segretario di Stato, ha definito ineccepibili sul piano politico le argomentazioni di Kerry. Nell'intervista al New York Times , ha sottolineato, Kerry ha rimproverato a Bush di non fare nulla per spegnere un focolaio del terrorismo, il conflitto tra israeliani e palestinesi, anzi di essersi «disimpegnato dalla Road map, la strada della pace, una grave miopia». E Joseph Nye, l'ex direttore del National intelligence council, autore del celebre trattato Soft Power , ha rinfacciato a Bush di avere adottato una nuova giustificazione per la guerra preventiva.

«Nel caso dell’Iraq la prima giustificazione fu che rappresentava una minaccia terribile e immediata perché possedeva armi di sterminio - ha affermato -. Poi che aveva la capacità di produrle. Ma oggi il presidente sostiene che bastava il fatto che volesse procurarsele». A parere di Nye, quello del processo alle intenzioni è un principio inaccettabile. Ma i clintoniani stessi ammettono che il voto sulla guerra al terrorismo sarà emotivo non razionale e che per gli elettori sarà difficile distinguere tra di essa e la guerra all'Iraq. Se ciò emergesse come fattore decisivo alle urne, vincerebbe Bush. A tre settimane dalle elezioni, i sondaggi rimangono infatti contraddittori e la corsa pare più incerta che mai. Quello della tv Abc e del Washington Post vede in testa Bush con il 51 contro il 46 per cento dei voti, quello Zogby-Reuters dà Kerry primo con il 47 contro il 44 del presidente. Anche l’ultima rilevazione Cnn/Usa Today vede in vantaggio lo sfidante (49 a 48).

E' la conferma che il dibattito alla tv in Arizona sarà cruciale. Ma ancora più importanti potrebbero essere i blitz televisivi. I repubblicani ne preparano uno simile a quello di agosto sul servizio militare di Kerry in Vietnam che potrebbe demolirne la credibilità. Tra una settimana la catena Sinclair , che appoggia Bush e raggiunge il 25 per cento dei telespettatori, trasmetterà un documentario in cui lo accuserà di avere tradito i commilitoni prigionieri di guerra ad Hanoi. Il documentario riguarderà la denuncia del conflitto vietnamita fatta da Kerry al Congresso nel '71: «I nemici la usarono - sosterrà - per minare il morale dei nostri soldati caduti nelle mani del nemico».

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