Da La Repubblica del 12/10/2004

"Cacciate il nostro comandante ha massacrato una bambina"

La bimba stava andando a scuola. La denuncia alla radio dell´esercito
La difesa sprezzante dell´ufficiale ha inasprito la reazione dei suoi soldati

di Alberto Stabile

GERUSALEMME - «Quell´ufficiale deve essere rimosso. E´ una vergogna che sia ancora al suo posto. O va via lui, o ce ne andiamo noi». Il soldato parla alla Radio militare con voce contraffatta. Per prudenza, usa il telefonino personale. La sua è una delle tante chiamate partite dalla postazione "Ghirit", sulla famigerata Philadelphy Road, al confine sud di Gaza, dopo l´uccisione di Iman al Hams, una bambina palestinese di 13 anni, colpevole di essersi ritrovata nel mirino dei soldati mentre stava andando a scuola per una strada vietata. Una morte, quella di Iman, che sta facendo vibrare le coscienze, al punto da indurre i soldati a denunciare il comportamento del loro comandante, cosa assai rara nell´esercito israeliano.

All´inizio sembrava solo un incidente, uno dei tanti incidenti in cui cadono vittime i civili palestinesi stritolati dalla tenaglia azione-reazione, l´intifada armata, da un lato e la perdurante occupazione israeliana dall´altra. Siamo a Rafah, la città a sud della striscia di Gaza, quasi al confine con l´Egitto, teatro di una guerra quotidiana che va avanti ormai da un anno, con l´esercito impegnato a stroncare il contrabbando d´armi che, attraverso i tunnel scavati sotto al confine, vanno a irrobustire l´arsenale della rivolta.

Sono circa le otto e mezza del mattino di martedì 5 ottobre, quando Iman, una ragazzina che sembra più piccola dei suoi 13 anni, assieme ad altre compagne, tutte con la divisa verde delle scolare palestinesi e lo zaino dei libri sulle spalle, sta andando a scuola. Il gruppetto è in ritardo e per far prima prendono la Philadelphy Road, che è come decidere di attraversare il fronte di questa guerra senza fine. Ma, dicono fonti palestinesi, quella è una strada che gli scolari di Rafah fanno spesso, confidando nella loro buona sorte.

Solo che quella mattina la tensione è a mille. C´è stata una sparatoria. I soldati hanno appena ucciso un cecchino palestinese. I militari hanno i nervi a fuor di pelle, quando Iman s´avvicina alla zona proibita. A questo punto dovrebbe scattare una procedura esattamente codificata. I militari dovrebbero intimare l´alt all´intruso, procedere alla sua identificazione e, se non si ferma, sparare colpi di avvertimento in aria. Soltanto dopo, sono autorizzati a sparare per fermare lo sconosciuto.

In effetti, partono alcuni colpi d´avvertimento. Iman e le sue compagne fuggono terrorizzate. Nella sua corsa, la bambina si libera dello zainetto che l´impaccia. E allora, secondo la versione fornita dall´Esercito, temendo che la sacca contenesse dell´esplosivo, i soldati mirano per colpirla.

Conviene a questo punto che a parlare siano gli stessi militari: «Iman giaceva immobile a terra. Il comandante della compagnia si è allora avvicinato al corpo e vi ha conficcato due colpi (in gergo miltare, Vidu hariga: ossia accertamento della morte). E´ tornato verso la nostra posizione, quindi s´è fermato, ha fatto dietrofront, ha messo il fucile in posizione automatica è ha svuotato l´intero caricatore. L´ha sforacchiata».

Nelle loro postazioni i soldati seguivano sgomenti: «Eravamo allibiti, scioccati, Ci tenevamo la testa nelle mani. Provavamo una grande dolore per lei. Era solo una bambina. Come si fa a crivellarla a bruciapelo?». Poi, un retroscena che solo loro potevano conoscere: «Il fatto è che lui moriva dalla voglia di uccide qualche terrorista, ha sparato alla bambina solo per liberarsi di quella pressione».

La storia è finita prima alla Radio di Stato, in un servizio della popolarissima reporter di guerra Carmela Meashè, il cui numero di telefono si dice che i militari israeliani conoscano a memoria. E dalla radio nell´ordine del giorno di una riunione di governo durante la quale, a difendere l´ufficiale in questione è sceso in campo il Capo di Stato maggiore in persona, Moshè Yaalon. Dopo che l´ipotesi che lo zainetto contenesse una bomba s´è rivelata infondata, il capo delle forze armate ha tentato di trovare una giustificazione all´assurda morte di Iman suggerendo la bambina poteva essere stata assoldata dai ribelli come esca, per costringere i soldati della postazione «Ghirit» a scoprirsi e cadere in preda ai cecchini palestinesi. Ma questa nuova ipotesi è smentita dai fatti. L´unico a scoprirsi è stato l´ufficiale che ha voluto dare il colpo di grazia a Iman, accanendosi poi su quel corpicino, e nessuno gli ha sparato contro.

«Noi gli gridavamo attraverso la radio: Non sparare, non sparare, è solo una bambina. Ma lui non sentiva», racconta un altro soldato alla Radio militare. Mentre un ufficiale, che vuole restare anonimo, aggiunge che è incomprensibile come l´ufficiale in questione sia rimasto al suo posto. «Un esercito morale come le Forze armate israeliane, avrebbe dovuto sospenderlo immediatamente.

Lui, l´ufficiale chiamato in causa, per nulla impressionato dalle critiche, si difende affermando che la maggior parte dei colpi che hanno centrato Iman sono stati sparati nella prima fase dell´incidente dai soldati nelle postazioni. Ed è questa ricostruzione che fa ribollire di sdegno i soldati: «Quello lì ci ha infangato, ci ha trascinato al livello di belve umane. L´esame dei proiettili dirà la verità». La Procura militare ha aperto un´inchiesta.

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