Da La Repubblica del 30/09/2004

Il racconto della prigionia: "Dovevamo stare a testa bassa, hanno voluto che leggessimo il Corano"

Il racconto

Le volontarie: "Siamo state processate come spie" "Così ci interrogarono davanti a una telecamera"

di Claudia Fusani

ROMA - Alle tre di notte, sotto le luci al neon degli uffici della procura di Roma, Simona Torretta ha appena finito di raccontare ai magistrati i ventuno giorni di prigionia. E´ stanca ma carica di adrenalina, tocca in continuazione la fusciacca azzurra che cade sulla veste lunga color rosa e si passa tra le mani fili di rame che sono margherite. Simona T. firma il verbale, due-tre pagine, ma prima di andare c´è ancora qualcosa che vuol dire. Che non capisce: «Accusata di essere una spia, sequestrata dagli iracheni perché nemica, io, noi... Però ci hanno trattato sempre con grande rispetto, questo va detto». Rispetto ma terrore. Nonostante quegli sguardi sicuri, gli occhi sorridenti, il passo svelto nei sandali più grandi di qualche misura, il racconto di Simona e Simona ai magistrati Franco Ionta, Pietro Saviotti e Erminio Amelio ha un di più di tragico proprio per quella frase aggiunta alla fine, fuori verbale: «Perché noi che amiamo l´Iraq e il popolo iracheno...».


IL SEQUESTRO - Il racconto della prigionia comincia da quel pomeriggio del 7 settembre. «Sono entrati quegli uomini, alcuni erano vestiti di nero e armati, un altro con giacca e pantaloni ma senza cravatta. Ci hanno fatto sdraiare in terra ma non avevano fogli con nomi o foto. Ci hanno chiesto i nostri nomi e ci hanno trascinato in macchina». Le due volontarie vengono bendate, portate nella stessa auto, sdraiate sul fondo. «Abbiamo girato per più di un´ora. Siamo arrivate in un posto, al chiuso, dove siamo rimaste per circa un´ora. Poi ancora in macchina per altre quattro, cinque ore. Ci hanno fatto scendere e entrare nella stanza di una casa dove poi siamo rimaste fino a questa mattina».


LA PRIGIONE - Simona Torretta descrive un luogo che è «una casa che sembrava isolata, senza rumori particolari». Ed è sicura nel ricordare: «Non abbiamo mai sentito bombardamenti». La prigione delle due volontarie non era né a Falluja né a Ramadi. Sicuramente vicino a Bagdad ma non un luogo dove in questi venti giorni ci sono stati bombardamenti.

I primi dieci giorni, i più terribili: «Farete una brutta fine» - Sono quelli in cui le ragazze sono quasi sempre bendate, «brandelli di stoffa con del cotone sopra gli occhi». Dai sequestratori ordini perentori: «State zitti», «fate silenzio» e «tenete sempre la testa bassa altrimenti farete una brutta fine». Simona Torretta aggiunge: «Parlavamo pochissimo, avevamo paura che ci sentissero e che potessero capire l´italiano». Poi racconta: «Ogni giorno ci facevano una specie di interrogatorio, molto duro, insistente. A volte anche due volte al giorno. C´era un uomo che parlava in lingua araba e uno che traduceva in inglese. Ci accusavano di essere spie, di essere in Iraq per fare opera di evangelizzazione e di collaborare con gli occupanti». Le ragazze rispondono, spiegano, negano. Le domande e gli interrogatori continuano per una decina di giorni. Simona Pari lo ammette con pudore nel suo verbale davanti al pm Saviotti: «Simona è stata più forte di me, si è sforzata sempre di spiegare e ragionare». Lei invece ha ceduto spesso alle lacrime e alla disperazione.


IL VIDEO - Siamo sempre in quella che Simona Torretta definisce «la fase inquisitoria del sequestro». La prima: «Un giorno sono entrati nella stanza e ci hanno detto che dovevamo girare un video». Un momento drammatico, le volontarie ben conoscono la ritualità dei video, momenti di rottura e di svolta nei sequestri. Sono state inquadrate separatamente e a turno è stato loro ordinato di dire nome, cognome e la loro condizione. «Mi chiamo Simona Torretta e sono sotto sequestro». Alla ragazze non sono mai state mostrate armi. «Ci dicevano: siete spie e farete una brutta fine».


LA SVOLTA: LEZIONI DI ISLAM E CORANO - Dopo circa dieci giorni, senza un motivo particolare, racconta Simona Torretta al pm, «passiamo in una fase che potrei definire del dialogo e del colloquio». Finiscono gli interrogatori, via le bende dagli occhi anche se quando entra qualcuno «dovevamo stare a testa bassa». «Hanno cominciato a portarci libri sulla storia dell´Islam e il Corano. Ci dicevano: "Leggete qui, studiate"». Simona racconta di aver preso appunti di quelle letture. Così trascorrevano le giornate di prigionia. «Negli ultimi giorni non ci accusavano più, come se avessero capito chi eravamo veramente»

Cibo, medicine e abiti - «Non abbiamo mai chiesto cibo particolare, meno che mai frutta e yogurt. Noi dovevamo stare zitte e nessuna di noi si poteva azzardare a chiedere qualcosa». Il cibo comunque era «vario e abbondante», i sequestratori lo consegnavano un paio di volte al giorno in vassoi, «abbiamo bevuto acqua corrente, ce la davano in una caraffa». Una volta Simona Torretta ha i brividi e febbre altissima, forse un´intossicazione: «Mi hanno fatto avere le medicine in poche ore». Gli abiti, tipici delle donne arabe, sono stati cambiati «almeno due volte». E per i capelli gli hanno procurato fermagli con piccoli brillantini.


IL GRUPPO DEI SEQUESTRATORI - Simona Torretta, una veterana dell´Iraq non ha dubbi: «Sono religiosi sunniti salafiti che ci hanno trattato con molto rispetto e mai sfiorato neppure con un dito». Sentite da due diversi pm, entrambe le volontarie hanno raccontato questo particolare: «Se eravamo bendate e ci dovevano spostare nella stanza ci prendevano toccandoci solo sulla manica delle vesti».


LA LIBERAZIONE - Arriva martedì mattina. «Mi dicono di uscire dalla stanza» racconta Simona Torretta. E´ un momento di grande paura, uscire, lasciare l´altra Simona. «Sempre bendata mi fanno camminare nella casa e a un certo punto mi danno un telefono, era Scelli, proprio lui, mi dice che tutto stava per finire». Simona torna da Simona, dopo poco le danno il velo nero da mettere in testa, le caricano in auto per un viaggio che durerà quattro, cinque ore. Poi incontrano un altro convoglio di macchine, gli altri due sequestrati. Quando scendono gli danno biscotti, caramelle, la scatola con le copie del Corano in inglese e «ci dicono buon viaggio». Una breve passeggiata. Il resto è andato in diretta su "Al Jazeera".

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