Da La Repubblica del 30/09/2004

Due trattative per liberarle

Frattini: "Nessun riscatto". Ma c´è stato un canale segreto

Scelli ricostruisce in Procura la sua mediazione
La verità ufficiale smentita dall´interno della stessa maggioranza: "Sì, abbiamo pagato"

di Carlo Bonini

ROMA - A ventiquattro ore dall´epilogo, la mossa che ha risolto il sequestro di Simona Torretta e Simona Pari - il pagamento di un riscatto di 1 milione di dollari, «o forse più», osserva una fonte araba - viene ora confermata anche da autorevoli fonti della maggioranza (Gustavo Selva di An). Ma questo non impedisce che si affacci una seconda ricostruzione apparentemente di segno opposto, che dovrebbe edulcorare la sostanza dell´affare, cambiandone il segno. Non un soldo è passato di mano, dice il commissario straordinario della Croce rossa Scelli, e, con lui, il ministro degli Esteri Frattini: «Non abbiamo pagato, il nostro riscatto è l´impegno politico di aiutare il popolo iracheno». Dunque? «E´ ragionevole ritenere - spiega una qualificata fonte investigativa - che Scelli racconti solo la parte emersa di questa storia, quella di cui è stato protagonista. E´ certo, infatti, che per riportare a casa le due ragazze sono stati coltivati due canali. Il primo, definiamolo ufficiale, è quello di cui dà conto Scelli. E qui abbiamo elementi per escludere che dalle sue mani sia passato denaro. Il secondo, sotterraneo, ha visto muoversi soldi e uomini che hanno contribuito in modo decisivo alla soluzione della crisi. Ma in questo caso, i dettagli devono, per ovvie ragioni politiche e tecniche, restare nell´ombra».

La considerazione dell´investigatore è semplice. Quasi banale. E in fondo, ad accreditarla, basterebbe ricordare le parole pronunciate martedì da Berlusconi in Parlamento al momento del rilascio delle due Simone. Alla soluzione della crisi hanno contribuito «due trattative potenzialmente confliggenti». Due. Non dunque il canale del solo Maurizio Scelli. «Due trattative» e «16 iniziative», dove, per iniziative, si intende quel febbrile sondare della nostra diplomazia i Paesi limitrofi all´Iraq. C´è dell´altro. Che due siano state le trattative per la liberazione delle due Simone, di Mahnaz Bassan e Ra´ ad Alì Abdulaziz, che il ruolo "visibile" di Scelli non abbia «da solo» portato a casa il risultato è provato proprio da una serie di incongruenze e dettagli che segnano la ricostruzione che lo stesso commissario straordinario della Cri ha consegnato ai magistrati della Procura di Roma nella notte tra martedì e mercoledì.

Scelli riferisce di una trattativa che comincia «per iniziativa del Consiglio degli Ulema». Di quel Al Kubaissi che già in occasione del sequestro di Quattrocchi, Stefio, Agliana e Cupertino aveva inutilmente tentato una mediazione. Sono gli Ulema, sostiene Scelli, a proporsi agli uffici della Croce rossa di Bagdad per la ricerca di un «canale con il gruppo dei sequestratori». Non chiedono denaro, ma un rinnovato impegno umanitario della Cri sul terreno. Scelli è a Roma e, nella capitale irachena, chi fa da tramite è Navar, medico iracheno legato al commissario straordinario da rapporti di amicizia. Il 14 settembre - prosegue il racconto - grazie agli Ulema, arriva la prova che un canale esiste e, soprattutto che le due Simone sono vive. Il gruppo dei sequestratori registra le voci di Simona Pari e Simona Torretta nella loro prigione. Quelle voci su nastro vengono fatte ascoltare al telefono di Scelli, che a sua volta le registra, comunicando la notizia a Gianni Letta. Comincia una trattativa - spiega ancora Scelli - in cui il denaro, a suo dire, nulla c´entra. E in quella trattativa, che ha come tramite il medico iracheno Navar, i sequestratori torneranno a far sentire la voce delle ragazze altre due volte, sempre con le stesse modalità telefoniche. Intorno al 21 settembre e, quindi, sabato scorso, il 25.

Scelli lascia Roma alle 5.45 del mattino di martedì, il giorno della liberazione delle due Simone, «non ancora sicuro - dice - dell´esito della vicenda», al punto da «temere di essere sequestrato a sua volta al momento della riconsegna degli ostaggi». Deve negoziare un´ultima volta al telefono - mette a verbale - e i «due sconosciuti, con il volto coperto dalla khefia», nel consegnargli le due ragazze, gli affidano una calibro 9 semiautomatica spiegandogli che quell´arma che «avrebbe dovuto uccidere gli ostaggi» diventava un «segno di amicizia». Accompagnato dall´auspicio che «Il Vaticano» si spenda per «far cessare lo spargimento di sangue in Iraq».

Sembra un discorso che fila. Ma, appena messo alla prova dei fatti, mostra la corda. Limitandosi all´essenziale, vale la pena annotare che gli Ulema «smentiscono categoricamente di aver mediato per la liberazione delle due Simone». E ancora: il re di Giordania, domenica scorsa dava per «risolto il sequestro». Come faceva Scelli, ancora martedì, a dirsi incerto? E se era incerto, perché volare a Bagdad e non lasciare che sul terreno continuasse a muoversi Nevar? Di più: se la Croce rossa era «l´unico canale», come mettersi allora con le rivelazioni del quotidiano kuwaitiano "Al Rai Al-Aam" che ha accompagnato gli ultimi quattro giorni del sequestro con una cronaca di dettaglio della trattativa, individuando persino il giorno e il momento della liberazione? La qualificata fonte investigativa sorride di sarcasmo: «La storia di Scelli mette d´accordo tutti: chi ha preso il denaro e chi lo ha dato. In fondo, né gli uni, né gli altri vogliano che si sappia. O sbaglio?».

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