Da Corriere della Sera del 29/09/2004
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/09_Settembre/29/ferra...

IL RITRATTO

La vittoria di Abdallah, il sovrano del dialogo

L'auspicio del rilascio è diventato realtà durante la visita di ieri al Quirinale

di Antonio Ferrari

Lo aveva detto con forza e convinzione, prima di congedarmi con una vigorosa stretta di mano, al termine dell’intervista esclusiva al Corriere : «Spero e prego, martedì quando sarò a Roma, di poter portare altre buone notizie. Sarebbe meraviglioso». Grazie, Maestà. Miglior dono di questo non avrebbe potuto portare. L’impegno di Re Abdallah di Giordania, che domenica si era assunto la responsabilità di dire «le due ragazze sono vive e stiamo facendo tutto il possibile per localizzarle e liberarle», è stato costante e appassionato.

L’aiuto dell’intelligence giordana è stato decisivo, anche se fino all’ultimo c’era il timore che le due Simone potessero essere vendute, negli avidi meandri del mercato dei sequestri, al terrorista Abu Musab al Zarkawi, precipitando nell’abisso del non ritorno. Il sovrano non è uomo che si compiace del proprio ruolo. E’ un giovane aperto, pragmatico, sincero, indubbiamente coraggioso, a volte spregiudicato e soprattutto convinto che per salvare l’anima dell’Islam sia necessario isolare, screditare e combattere quelli che - come Bin Laden e al Zarkawi - lavorano per distruggerlo, scatenando tra i popoli un rancore violento, e ricattando le masse musulmane con la promessa di un riscatto impastato di oscurantismo. Non sapeva neppure di dover diventare re, il giovane Abdallah. Quando suo padre, il grande Hussein, gravemente malato, decise di ritirare la delega al fratello Hassan e di affidargli le sorti del regno, il figlio primogenito che si era dedicato alla carriera militare ebbe un sussulto. Gli chiesi: «Avrebbe potuto dirgli di no?».

Mi rispose sgranando gli occhi azzurri, stupito da quella domanda impertinente: «Dire di no a Sua Maestà mio padre? Impossibile!». Con questo spirito accettò il peso del trono, senza tradire le proprie inquietudini. Sapeva che una stagione si era chiusa per sempre, e che altre e rischiose sfide attendevano il suo piccolo regno, assediato dai problemi di troppi confini difficili: l’Iraq, l’Anp, Israele, la Siria, l’Arabia Saudita. Con il 67% dei sudditi di origine palestinese, era poi costretto a inventarsi ogni giorno la risultante di troppe forze contrastanti, in un Paese che aveva bisogno di una forte scossa culturale e di un audace piano di riforme per poter continuare a credere in se stesso.

Il destino ha voluto che avesse al suo fianco una donna straordinaria di origine palestinese, la regina Rania, bellissima, intelligente e in convinta sintonia con la volontà riformatrice del marito. Le prime mosse del re furono accolte con diffidenza. Trasformare un Paese che era cresciuto nel rispetto di equilibri tribali appariva impresa improba. Molti giordani non sopportavano l’idea di un sovrano in jeans, che va allo stadio indossando la maglietta della nazionale, che si scalda come un qualsiasi tifoso, che ama il rap e si entusiasma vedendo Matrix. Ma la determinazione di Abdallah era destinata a prevalere perché le critiche, invece di deprimerlo, ne accrescevano il vigore riformatore. Vigore che ha alimentato l’odio degli estremisti più accaniti. Il re è stato fra i primi, forse il primo a rompere un tabù.

Quando denunciò l’esistenza del terrorismo islamico, i fanatici giurarono di vendicarsi. Hanno cercato di annientare l’intera famiglia reale mentre era in vacanza; hanno organizzato un attacco con armi chimiche, che avrebbe potuto provocare, quest’anno, 80.000 morti. Abdallah non si è piegato. Come diretto discendente del profeta Maometto, ha deciso di difendere il vero islam promuovendo il dialogo, le riforme politiche ed economiche, e offrendo un esempio di tolleranza. La regina Rania lo ha sostenuto. In primavera ha organizzato la prima grande manifestazione araba contro il terrorismo, sfilando in testa al corteo e sfidando i critici con il suo sorriso.

La guerra all’Iraq, che i sudditi non accettavano, rischiava di costargli cara. Abdallah, affidandosi alla lezione di saggezza di suo padre, ha cercato di contrastarla ma alla fine, dopo aver fallito, ha pensato al suo Paese. «Jordan first», prima la Giordania, è stato lo slogan con cui l’anno scorso ha aperto una nuova era. Poteva risultargli comodo diventare più morbido e acquiescente. Ha scelto la strada più impervia. Diventare il promotore della nuova tolleranza. Ripete sempre: «I terroristi sono i veri nemici: vostri e nostri».

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