Da Corriere della Sera del 29/09/2004

Il testo firmato da leader internazionali di diverso colore politico

Appello a Europa e Nato «Putin resti democratico»

Cento politici e intellettuali chiedono pressioni sul Cremlino

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Cento firme prestigiose, tra cui quelle di Giuliano Amato e Massimo D'Alema, tre sponsor autorevoli (i senatori americani John McCain, repubblicano, e Joseph Biden, democratico, e l'ex premier svedese Carl Bildt), un duro attacco al presidente russo Vladimir Putin: «Crediamo fermamente che la dittatura non sia e non possa essere la risposta ai problemi della Russia: i leader occidentali debbono prendere atto che la nostra attuale strategia sta fallendo». E' il Manifesto dei cento , come lo chiama l’insigne storico Richard Pipes, un sasso nello stagno dei rapporti sempre più fangosi tra l'America e l'Europa da un lato e il Cremlino dall'altro, un accorato richiamo all’obbligo morale dell'Ue e della Nato di premere su Mosca «affinché non tradisca i valori democratici di base della comunità transatlantica». «Inviamo una lettera aperta ai nostri capi di Stato e di governo», dichiara il testo che precisa di rappresentare «figure di persuasioni politiche diverse, per manifestare la nostra preoccupazione per il futuro della democrazia in Russia».

E' un'iniziativa, riferisce Pipes, che fu consigliere sull'Urss del presidente Ronald Reagan, maturata nel tempo e portata avanti da un partito trasversale americano che si è venuto formando tra politici e intellettuali democratici, repubblicani e indipendenti. Su 100 firme, 55 vengono dagli Stati Uniti. Vanno dall'ideologo neoconservatore William Kristol all'ex ambasciatore all'Onu Richard Holbrooke, un liberal che diverrebbe segretario di Stato se John Kerry fosse eletto presidente; dall'ex direttore della Cia James Woolsey, un falco, all'ex vice direttore della Sicurezza Nazionale sotto Bill Clinton, James Steinberg, una colomba; da Francis Fukuyama, l'autore de La fine della storia , a Robert Kagan, il teorico del divario tra l'America (Marte) e l'Europa (Venere). Tutti nomi accomunati dalle discusse misure di Putin che, dice la lettera, «porteranno la Russia sempre più vicino a un regime autoritario».

Il Manifesto , firmato da altri tre italiani, Daniele Capezzone, Matteo Mecacci, Stefano Silvestri, riflette la nascita di un partito trasversale anche in Europa, in primo luogo negli ex Paesi comunisti.

Lo hanno sottoscritto l'ex presidente ceco Vaclav Havel e l'ex ministro degli Esteri polacco Bronislaw Geremek, l'ex premier bulgaro Philip Dimitrov e l'ex presidente lituano Wytautas Landsbergis. E lo scrittore francese André Glucksmann, il leader dei verdi tedeschi Reinhardt Bütifoker, l'europarlamentare inglese Gary Titley. Ma la genesi è americana. In un implicito riferimento a George W. Bush, che continua a indicare in Putin un indispensabile alleato nella lotta al terrorismo, i cento protestano che «in questa congiuntura della storia, mentre chiediamo riforme democratiche nel mondo, il Medio Oriente incluso, è imperativo che non accettiamo un doppio standard per i Paesi a est dell'Europa».

L'analisi dell'involuzione anti democratica al Cremlino è spietata. La lettera inizia con la condanna della strage di Beslan, «un atto di barbarie senza precedenti che viola le norme delle nazioni civili». Ma poi ricorda la limitazione della libertà di stampa, gli arbitrii legali e politici di Putin, il regime poliziesco, tutte misure giustificate con la lotta al terrorismo, e ammonisce che «la sua politica estera minaccia i vicini e la sicurezza energetica europea». E' una condotta inaccettabile come fondamento di una partnership tra la Russia e l'Occidente, conclude, aggravata dal silenzio euro americano: «Dobbiamo dire la verità, è un debito che abbiamo con le vittime di Beslan e i democratici russi». Pipes è d'accordo: «Putin dovrebbe dare l'indipendenza alla Cecenia - commenta - come Charles de Gaulle la dette all'Algeria».

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