Da La Repubblica del 29/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/esteri/itaraptre/riscatdav/ris...

IL COMMENTO

Così il riscatto è stato pagato

di Giuseppe D'Avanzo

Il riscatto è stato pagato, e non c'è da vergognarsene. L'emissario del governo italiano ha consegnato i primi cinquecentomila dollari lunedì notte. Gli è stato concesso di accertarsi anche che Simona Pari e Simona Torretta fossero vive e in buona salute. Le ha potute addirittura vedere, a quanto pare. Gli altri cinquecentomila dollari sono stati pagati all'alba, ieri, a Bagdad. Si poteva avere fiducia, allora, dello sceicco che si era proposto come mediatore. Non racconta frottole. Non è una trappola, si sono detti gli uomini delle nostra intelligence. L'incubo stava per concludersi dopo otto giorni di pena e di dubbi. Quel canale era giusto? Era davvero affidabile? Queste domande frullavano come mosche nella testa dei funzionari del governo, il 23 settembre. Forse lo si ricorderà, quel giovedì fu terribile. Per il governo e per un'Italia soffocata dall'angoscia.

Nella notte l'Organizzazione della Jihad annuncia che le due Simone sono state uccise. Qualche ora dopo Ansar Al Zawahri - che già ha diffuso un ultimatum 48 ore prima - comunica che le volontarie italiane sono state giustiziate. Incomprensibilmente quella notte il governo appare preoccupato, quasi intimidito. I messaggi sono con tutta evidenza farlocchi e privi di ragionevolezza. Perché lasciarsene terrorizzare? Perché Palazzo Chigi prende sul serio quella robaccia in internet?

Le ragioni di quella apprensione ora sono più chiare. La trattativa è, in quelle ore, nella fase più delicata. L'emissario del governo, martedì 21, ha rifiutato ogni dialogo politico. Nessuna trattativa su quel terreno, dice. Nessuna liberazione delle donne irachene detenute (gli americani continuano a dire che, tranne due personalità del regime saddamita, non ci sono donne irachene detenute). Nessun ritiro delle truppe è negoziabile. Nessuna domanda politica sarà presa in considerazione. Facile dire di no, più difficile prevedere che cosa ti potrà arrivare sulla testa dopo quel rifiuto. Come avrebbero risposto i sequestratori?

Fino a quando non arriva la risposta (arriverà soltanto sabato 25 settembre), l'intelligence non sa dire a Roma quali saranno le reazioni. "Tutto a questo punto è possibile, anche il peggio", riferiscono gli uomini sul campo. Tre giorni di silenzio possono essere atroci. E' quel silenzio che gli annunci del web spezzano. E lo spezzano nel modo più spaventevole annunciando la morte delle due Simone. Può essere il segnale che i sequestratori hanno deciso di chiudere definitivamente il canale della trattativa? Molti lo pensano a Palazzo Chigi la notte di giovedì. La speranza dei giorni precedenti si disintegra come uno specchio e tuttavia è proprio in quelle ore che si raccoglie il successo italiano.

Il gruppo che ha catturato le nostre Simone e due iracheni, Mahanz Bassam e Ra'ad Ali Abdul Raziz, è una fazione che fonti arabe definiscono "moderata, nazionalista", lontana dal fondamentalismo religioso. Sono musulmani laici, baathisti. A quanto pare, a quanto dicono i mediatori, non vogliono la guerra all'Occidente, vogliono che il destino dell'Iraq sia nelle mani solitarie e autonome degli iracheni.

Guardiamo a quei tre giorni di silenzio (22/23/24) dal loro punto di vista. Immaginiamoli che discutono se insistere sulla rivendicazione politica e uccidere le due Simone o ripiegare su una richiesta economica, salvare la vita alle due volontarie italiane, raccogliere le risorse necessarie per la missione che si sono dati.

Il quadro che hanno dinanzi è per loro politicamente desolante. L'Italia non si è divisa. Non c'è un varco da allargare. Non c'è un punto su cui far leva. Il Paese appare unito e saldo nel difendere le scelte del governo dinanzi al ricatto e alla minaccia che grava sul capo di due innocenti, in Iraq soltanto per favorire il popolo iracheno e la ricostruzione di una vita dignitosa e civile. Neanche una richiesta accettabile, politicamente ragionevole, come la liberazione delle donne irachene detenute illegalmente, ha separato la maggioranza dall'opposizione, il governo dall'opinione pubblica.

Di più. Il fallimento politico della loro impresa, i sequestratori lo misurano anche, e soprattutto, quando guardano alle reazioni della comunità della diaspora musulmana. Non c'è imam, non c'è moschea, non c'è comunità religiosa o laica che non avverta in Italia prima il disagio per quel rapimento e poi la ferma ostilità per una minaccia di morte di cui - loro, chi vive oggi in Italia e solo loro - pagherà a caro prezzo. Con il sospetto, con il disprezzo, con la discriminazione. Lo si può dire anche così: il gruppo di musulmani laici vede il nostro Paese unito e non soltanto negli italiani, ma in ogni etnia e soprattutto nella comunità musulmana che vive la stessa angoscia degli italiani.

E' in quei tre giorni di silenzio che i sequestratori perdono la loro partita politica. Devono rendersene conto se cambiano rapidamente regime. Chiedono soldi ora, molti soldi. Cinque milioni di dollari. Questa volta è lo sceicco-mediatore a rintuzzare le loro richieste. Gli ostaggi sono donne. Sono donne indifese che mai avrebbero dovute essere sequestrate, che mai avrebbero dovuto diventare merce di scambio.

Anche a Roma quella richiesta di cinque milioni di dollari muove pericolosamente le acque mettendo a rischio l'equilibrio politico definito dal sottosegretario Gianni Letta. Alleanza Nazionale non è del tutto convinta che si debba pagare e mostra freddezza per la strategia definita da Letta, per la sua disponibilità ad accettare il ricatto economico per aver salve le due Simone.

E' in quelle ore che si valuta anche la possibilità di "una soluzione aggressiva". La prigione alle porte di Bagdad è stata ormai individuata con una ragionevole approssimazione. Il blitz si potrebbe tentare. L'opzione cade ancora prima di essere presa davvero in considerazione. Berlusconi è contrario. Letta è contrarissimo. Contrarissima l'opposizione che chiede di far prevalere "una soluzione pacifica".

E' domenica 26 settembre, ormai. Le buone notizie arrivano dall'appartamento dove sono prigioniere Simona Pari e Simona Torretta. I sequestratori ridimensionano le loro richieste. Un milione di dollari. Soltanto un milione di dollari, chiedono ora. Da Roma arriva il via libera. L'uomo sul campo prende le sue cautele. Paga la prima tranche, ma prima di consegnare la seconda vuole vedere le due ragazze. All'alba il riscatto è tutto pagato finalmente, e non c'è di che cosa vergognarsi. Simona e Simona tornano a casa. Alle 23,29, tenendosi per mano, sono sulla pista dell'aeroporto di Ciampino. Tutti possiamo essere soddisfatti. Per una volta, il successo, la vittoria ha molti padri.

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