Da Il Sole 24 Ore del 13/06/2003

Piace a Bruxelles il new deal di Tremonti

di Adriana Cerretelli

BRUXELLES - È andato direttamente nella tana del "lupo" Pedro Solbes, l'attento custode del Patto di stabilità, a presentare il suo piano d'azione per il rilancio degli investimenti pubblici in Europa. Ci è andato e non solo è tornato indenne, ma addirittura con in tasca il suo placet tecnico-politico perché di questi tempi anche il "lupo" come tutti i Governi dell'Unione è alla disperata caccia di crescita economica europea. «Lavoriamo nella stessa direzione della futura presidenza italiana dal marzo scorso» ha affermato ieri il portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari, commentando la presentazione che aveva fatto poche ore prima a Bruxelles, davanti alla commissione Affari economici e monetari dell'europarlamento, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. «Il nostro obiettivo - ha continuato - è quello di lanciare azioni ad hoc destinate ad aumentare gli investimenti nelle reti transeuropee e nella ricerca. L'iniziativa italiana darà agli investitori un ulteriore segnale di fiducia nel potenziale di crescita dell'economia europea».

Naturalmente il placet di Bruxelles è solo uno dei passaggi che il piano Tremonti (vedi «Il Sole-24 Ore di ieri) dovrà superare per poter diventare operativo, si spera entro il prossimo dicembre. Decisiva sarà la reazione dei ministri Ecofin che si ritroveranno il 16 luglio a Bruxelles per la prima riunione del semestre italiano di presidenza Ue. Se in quella sede arriverà il via libera - e tutto al momento lascia credere che ci sarà, visto che il progetto non prevede di battere cassa in Europa o infrangere i vincoli del Patto - il new deal all'italiana sarà pronto per diventare una politica europea, una volta che Commissione Ue e Bei (Banca europea per gli investimenti) avranno messo a punto le modalità per renderla a tutti gli effetti operativa.

«Quello che presentiamo oggi è uno schema generale di massima. L'azione e la filosofia politica sono chiari ma i punti tecnici, i numeri, i profili temporali e la selezione degli strumenti devono ancora essere discussi» ha del resto ammesso ieri Tremonti parlando di una proposta «ancora in fase molto preliminare».

Da una parte c'è un'economia europea che da due anni cresce sotto il proprio potenziale e quindi ha bisogno di investimenti strutturali e non di interventi congiunturali, c'è l'incertezza che deprime la fiducia di imprese e consumatori e c'è un mercato unico che continua ad allargarsi moltiplicando, in assenza di adeguate infrastrutture di collegamento, le strozzature che inibiscono lo sfruttamento della sua preziosa massa critica. Dall'altra parte c'è il Patto di stabilità che assicura finanze pubbliche sane e c'è la Bce che garantisce la stabilità dei prezzi.

Se questo è il quadro di fondo, «è venuto il momento di capitalizzare sulla credibilità acquisita e spenderla in iniziative per far ripartire la crescita economica. La rivitalizzazione dell'economia europea deve essere fondata sul rilancio degli investimenti pubblici», ha affermato Tremonti. Come? Prima di tutto con un'iniziativa che «non è né fuori del Patto né al di sopra di esso» ha spiegato. In parole povere non prevede né il ricorso alla golden rule (possibilità di sottrarre gli investimenti pubblici in infrastrutture dal calcolo del deficit) né agli "Union's bonds", esclude cioè l'ipotesi di un aumento del debito pubblico tanto nazionale quanto europeo come invece teorizzava 10 anni fa il piano Delors.

Il new deal di Tremonti parte dal piano Delors per il finanziamento delle reti transeuropee (14 progetti prioritari di cui a oggi soltanto tre sono stati completati) ma invece che dalle risorse del bilancio europeo intende passare da quelle del mercato usando la Bei come leva finanziaria diretta o indiretta. Con l'obiettivo di pompare nella realizzazione delle infrastrutture - a livello europeo e nazionale e con un approccio molto flessibile - investimenti al ritmo annuo dello 0,5-1% del Pil europeo, invertendo la perniciosa tendenza che invece da oltre un decennio li vede diminuire a colpi di 50 miliardi di euro all'anno.

L'idea di fondo è semplice e potenzialmente molto efficace: visto che i vincoli posti dal Patto sui bilanci pubblici sono intoccabili e quindi la capacità di investimenti pubblici molto ridotta, si prende il volume limitato a disposizione e lo si moltiplica appoggiandosi alla Bei, insieme alla quale si costituisce uno zoccolo duro per andare sul mercato e coinvolgere alla grande i capitali privati. Il momento è buono perché Borse e new economy hanno bruciato troppi capitali e in giro c'è voglia di investimenti sicuri, a basso grado di rischio non importa se con rendimenti che non fanno scintille. Cosa di meglio dei bond in un modo o nell'altro targati e/o garantiti dalla Bei?

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