Da Corriere della Sera del 24/09/2004
Bush e Allawi fianco a fianco: «Stiamo vincendo»
«Ma se smettiamo di combattere i terroristi in Iraq, saremo attaccati in molte altre parti del mondo»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - A fianco a fianco nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, George Bush e Iyad Allawi parlano con una voce sola, da presidente e da premier di guerra e da candidati alle elezioni. Trasmettono l'identico messaggio agli insorti e ai terroristi in Iraq, e a John Kerry negli Stati Uniti: siamo ottimisti, stiamo vincendo, cedere ora significherebbe portare il nemico a combattere contro di noi in altri Paesi. Bush riconosce che «la violenza in Iraq aumenterà fino alle elezioni», ma insiste che «saranno gli iracheni non i terroristi a deciderne il futuro». E depreca gli attentati e le decapitazioni: «Sono disgustato, ma a Zarkawi dico: "Non ci farai ritirare con la brutalità, porteremo a termine la nostra missione"».
Allawi è d’accordo. «L'Iraq voterà a gennaio - promette - abbiamo una strategia in tre punti, politica, militare ed economica: isolare i terroristi, garantire la sicurezza addestrando le forze irachene, e migliorare la vita della popolazione». Entrambi negano che il generale John Abizaid, il comandante delle operazioni, abbia chiesto più truppe. Ma Bush non esclude di darne altre ad Allawi «se il premier le vorrà», la prima ammissione che prepara un'offensiva post elettorale.
E' il culmine di una mattinata cruciale per i due leader sotto assedio, martellati da giornalisti scettici. Bush e Allawi fanno muro: «L'Iraq è il fronte più importante della guerra al terrorismo», dice il presidente; «Con i terroristi non si tratta», insiste il premier. Criticano all'unisono i media: «Non evidenziano che la stragrande maggioranza degli iracheni vuole la libertà e la democrazia», lamenta Bush; «Su 18 province, solo 3 nel triangolo sunnita causano dei problemi - spiega Allawi - ma da Bassora alla zona curda è pace». Il presidente cita l'Afghanistan: «Ai dubbiosi di tre anni fa ricordo che il mese prossimo voteranno 10 milioni di afghani, un numero eccezionale».
Il premier spiega che sta dialogando con gli insorti: «A loro chiedo cosa vogliano: il ritorno di Saddam Hussein, il regime di Bin Laden? E li invito a partecipare al processo politico». Bush, che elogia il sacrificio «dei membri della coalizione», e cita l'Italia, trova il modo di criticare il rivale democratico John Kerry: «Non si danno segnali ambigui al nemico, lo si imbaldanzisce, si spinge qualcuno ad andarsene dall'Iraq, come accadde con la Spagna». E' un riferimento all'ultimo spot tv contro Kerry: lo mostra mentre fa il surf cambiando continuamente direzione, a seconda del vento, a conferma che sarebbe «il candidato banderuola».
Il «George e Iyad show», come lo chiama un giornalista nel Giardino delle Rose, è stato preceduto da un discorso del premier iracheno al Congresso in riunione plenaria, un onore riservato ai grandi leader.
Allawi, che oggi parlerà all'Onu, è stato subissato di ovazioni, a cui ha dato il via il giubilante vicepresidente Richard Cheney, assiso sul podio alle sue spalle. Ha toccato tre punti: «Giorno per giorno, sconfiggiamo la barbarie; vi ringraziamo, il vostro sacrificio non sarà vano; noi, voi, il mondo stiamo meglio senza Saddam Hussein». Ha definito «difficile ma giusta» la decisione di Bush di fare guerra al rais; ha sottolineato che l'Iraq ha già 50 mila soldati, a gennaio ne avrà 140 mila e alla fine dell'anno prossimo 250 mila, e dispone di un corpo speciale contro il terrorismo e una intelligence sempre più preparata. Si è solennemente impegnato a tenere elezioni «non perfette ma libere e giuste», aggiungendo: «I nostri valori, il nostro sogno sono i vostri: la libertà e la democrazia». E come avrebbe poi fatto Bush, ha chiesto all'America di non abbandonarlo: «Quando i politici suonano la sirena del disfattismo, favoriscono la violenza». Si è accomiatato persino alla stessa maniera del presidente, come se ne seguisse il copione: «Dio vi benedica».
Allawi è d’accordo. «L'Iraq voterà a gennaio - promette - abbiamo una strategia in tre punti, politica, militare ed economica: isolare i terroristi, garantire la sicurezza addestrando le forze irachene, e migliorare la vita della popolazione». Entrambi negano che il generale John Abizaid, il comandante delle operazioni, abbia chiesto più truppe. Ma Bush non esclude di darne altre ad Allawi «se il premier le vorrà», la prima ammissione che prepara un'offensiva post elettorale.
E' il culmine di una mattinata cruciale per i due leader sotto assedio, martellati da giornalisti scettici. Bush e Allawi fanno muro: «L'Iraq è il fronte più importante della guerra al terrorismo», dice il presidente; «Con i terroristi non si tratta», insiste il premier. Criticano all'unisono i media: «Non evidenziano che la stragrande maggioranza degli iracheni vuole la libertà e la democrazia», lamenta Bush; «Su 18 province, solo 3 nel triangolo sunnita causano dei problemi - spiega Allawi - ma da Bassora alla zona curda è pace». Il presidente cita l'Afghanistan: «Ai dubbiosi di tre anni fa ricordo che il mese prossimo voteranno 10 milioni di afghani, un numero eccezionale».
Il premier spiega che sta dialogando con gli insorti: «A loro chiedo cosa vogliano: il ritorno di Saddam Hussein, il regime di Bin Laden? E li invito a partecipare al processo politico». Bush, che elogia il sacrificio «dei membri della coalizione», e cita l'Italia, trova il modo di criticare il rivale democratico John Kerry: «Non si danno segnali ambigui al nemico, lo si imbaldanzisce, si spinge qualcuno ad andarsene dall'Iraq, come accadde con la Spagna». E' un riferimento all'ultimo spot tv contro Kerry: lo mostra mentre fa il surf cambiando continuamente direzione, a seconda del vento, a conferma che sarebbe «il candidato banderuola».
Il «George e Iyad show», come lo chiama un giornalista nel Giardino delle Rose, è stato preceduto da un discorso del premier iracheno al Congresso in riunione plenaria, un onore riservato ai grandi leader.
Allawi, che oggi parlerà all'Onu, è stato subissato di ovazioni, a cui ha dato il via il giubilante vicepresidente Richard Cheney, assiso sul podio alle sue spalle. Ha toccato tre punti: «Giorno per giorno, sconfiggiamo la barbarie; vi ringraziamo, il vostro sacrificio non sarà vano; noi, voi, il mondo stiamo meglio senza Saddam Hussein». Ha definito «difficile ma giusta» la decisione di Bush di fare guerra al rais; ha sottolineato che l'Iraq ha già 50 mila soldati, a gennaio ne avrà 140 mila e alla fine dell'anno prossimo 250 mila, e dispone di un corpo speciale contro il terrorismo e una intelligence sempre più preparata. Si è solennemente impegnato a tenere elezioni «non perfette ma libere e giuste», aggiungendo: «I nostri valori, il nostro sogno sono i vostri: la libertà e la democrazia». E come avrebbe poi fatto Bush, ha chiesto all'America di non abbandonarlo: «Quando i politici suonano la sirena del disfattismo, favoriscono la violenza». Si è accomiatato persino alla stessa maniera del presidente, come se ne seguisse il copione: «Dio vi benedica».
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