Da La Repubblica del 23/09/2004

Ancora segreti sull´operazione del Sismi che ha scongiurato un attacco con un´autobomba. Al Viminale non sapevano nulla

"I terroristi avevano contatti con l´Italia"

Un legame con Al Qaeda dietro la tentata strage di Beirut. Prime confessioni

di Carlo Bonini

ROMA - Nella nebbia che ancora avvolge l´operazione con cui a Beirut, venerdì scorso, è stata fermata la mano che cercava la strage degli italiani, fa capolino un nuovo nome. Di un qualche peso. Perché tra i dieci arrestati, da ieri c´è un anonimo in meno. Si chiama Ismail Mohamed Al Khatib. Un passato sinistro e un presente se possibile peggiore, almeno a sentire il ministro dell´interno libanese Elias Al-Murr che su di lui ha lasciato cadere il velo del segreto. Nell´economia dell´indagine, il "reclutatore" dei martiri destinati a dare morte e distruzione nei cinque piani dell´ambasciata italiana in Place de l´Etoile. Nelle analisi dell´intelligence, l´anello mancante in grado di mettere in capo ad Al Qaeda il piano stragista della cellula che lo aveva pianificato: la fazione salafita guidata dall´emiro Ahmed Salim Miqati.

Al contrario di Miqati (il cui arresto, filmato, è stato trasmesso ieri nei nostri tg di prima serata), non è chiaro dove Al Khatib sia stato fermato. Se a Beirut, come Miqati. O, come sembra, in una imprecisata zona orientale del Libano, dove una seconda operazione antiterrorismo è stata condotta dalle forze di sicurezza libanesi negli stessi frangenti in cui si chiudeva a Beirut la trappola su Miqati. Non è chiaro se di lui abbia parlato nella sua confessione (per altro dal contenuto ancora ignoto) Miqati. Né se Al-Khatib fosse partecipe o quantomeno a conoscenza del piano stragista. Quel che è certo, al contrario, è che il nome di Al-Khatib è iscritto negli archivi dell´intelligence libanese come reclutatore impegnato a spedire kamikaze in Iraq, «per conto di Al Qaeda». Raccontano che attingesse alla disperazione del campo profughi di Ain El Hilwah (45 chilometri a sud di Beirut, alla periferia di Sidone). Lo stesso dove aveva trovato rifugio Miqati. Il che è abbastanza da far concludere al ministro dell´interno libanese che la firma sul progetto di settembre di sangue era quella di Al Qaeda. Da far dire al Procuratore generale di Beirut, Adnan Addoum, che «essendo Al Khatib membro operativo di Al Qaeda si presuppone che fosse a conoscenza del progetto di attentato all´ambasciata italiana». Che non doveva comunque essere l´unico obiettivo. Dell´ambasciata americana, si è detto nei giorni scorsi. Ora, le autorità libanesi lasciano scivolare sul tavolo delle evidenze anche il consolato ucraino, la sede del tribunale di Beirut e del governo libanese. Sul come poi i "martiri" avrebbero dovuto colpire, i dettagli si fanno però avari. «Una macchina carica di 300 chilogrammi di tritolo era destinata all´ambasciata italiana», dice il ministro dell´interno libanese. Ma poi non intende dire se la macchina, l´esplosivo o i detonatori siano stati trovati. Solo il Procuratore generale, Adnan Addoum, fa un accenno al «ritrovamento di un deposito di armi sotterraneo». Salvo tacere il luogo della scoperta e cosa quel deposito effettivamente contenesse.

Come si vede, in questa storia molte sono le domande ancora senza risposta. E molti, va aggiunto, sono i malumori che si raccolgono in queste ore tra gli addetti ai nostri apparati della sicurezza per come anche quelle poche notizie di cui si dispone sono state taciute. Dell´operazione condotta a Beirut dal Sismi, nulla ha saputo sino a martedì sera il Sisde. Nulla ha saputo la Polizia. Nulla l´Arma dei carabinieri. «Ciò che è peggio - osserva una qualificata fonte investigativa - si è persa un´opportunità e si è corso un rischio. Pur di mantenere il segreto sull´operazione, si è lasciato che trascorresse un´intera estate senza che chi è incaricato di proteggere i confini del nostro Paese sapesse quel che stava accadendo. Forse, se le informazioni avessero circolato, oggi sapremmo dire se questa cellula libanese poteva contare o meno su collegamenti nel nostro Paese». Il che, allo stato, è proprio l´indicazione che arriva da Beirut. Generica, ancora una volta, almeno per come la propone il ministro dell´interno. «Dagli interrogatori degli arrestati, è apparso chiaro che questi gruppi avevano contatti con reti terroristiche in Italia, Ucraina, Danimarca, Iraq, Arabia Saudita, Giordania, Germania e Sudan».

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