Da Corriere della Sera del 22/09/2004

Beirut, 300 chili d’esplosivo per colpire l’Italia

Il Sismi blocca una cellula salafita: sventato piano con kamikaze e autobomba contro la nostra ambasciata

di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Un’auto imbottita di esplosivo lanciata a folle velocità contro l’ambasciata italiana a Beirut: l’attentato kamikaze progettato da una «cellula» di terroristi islamici è stato sventato, venerdì scorso, dagli uomini del Sismi. In un parco della capitale, grazie a un’operazione congiunta con i servizi segreti libanesi e siriani, è stato arrestato l’uomo che lo aveva organizzato. Si chiama Ahmad Salim Miqati, ha 36 anni ed è ritenuto uno dei leader di Al Qaeda in Libano. Altre nove persone sono finite in manette, membri dell’organizzazione che avevano già compiuto numerosi sopralluoghi in Place de L’Étoile, davanti al palazzo che ospita la nostra rappresentanza diplomatica. Tra loro anche l’esperto di esplosivi Ismail Mohammad Al Khatib. Il gruppo sunno-salafita aveva già preparato la rivendicazione decidendo di firmarsi «Ziad Al Jarrah», per ricordare uno dei piloti che guidavano gli aerei scagliati contro le Twin Towers l’11 settembre 2001.


IL CONTATTO - La segnalazione su un attacco suicida contro un obiettivo italiano all’estero arriva un paio di mesi fa. E’ piena estate quando la «fonte» contatta gli 007. Parla del progetto, fornisce informazioni dettagliate sul bersaglio scelto. Dice di conoscere i nomi dei componenti del commando, le «basi» già operative, i nomi di chi deve reperire l’esplosivo e confezionare l’autobomba. «L’azione - rivela - è stata finanziata dai sauditi e progettata da Miqati». E’ un nome conosciuto, i suoi legami con l’organizzazione di Osama Bin Laden sono descritti nei dossier dei servizi segreti di mezzo mondo. Ha già subìto numerose condanne per terrorismo. Tra le accuse c’è quella di aver pianificato l’attacco del 2002 contro il McDonald’s di Beirut. Ma nessuno conosce il suo volto perchè di lui non esiste alcuna foto recente. Le ultime informative trasmesse assicurano che vive in un campo di addestramento libanese, dal quale è praticamente impossibile uscire perchè è sorvegliato da decine di uomini.


LA MINACCIA - Si tratta comunque di una pista che non può essere tralasciata. Proprio in quei giorni l’Italia è al centro di una campagna mediatica, condotta attraverso i siti Internet, che minaccia di «far scorrere il sangue». Osama Bin Laden l’ha inserita nell’elenco degli Stati da «punire», in rete viaggia il suo anatema tradotto nella nostra lingua «perchè l’Italia è il Paese che ha maggiori possibilità di essere colpito». Gli analisti sono convinti che i rischi maggiori riguardino proprio le ambasciate e altri obiettivi che si trovano all’estero, dove è più facile entrare in azione. Viene avvertito Palazzo Chigi, si decide di assecondare la «fonte». Il Sismi informa il direttore dei servizi segreti libanesi. Gli 007 lavorano in piena collaborazione. Seguono l’informatore, controllano i suoi contatti. E intanto potenziano la sorveglianza davanti alla rappresentanza diplomatica.


LA FOTO - Qualche settimana fa, riescono a intercettare l’uomo che, secondo la «fonte», è Ahmad Salim Miqati. Ha una lunga barba che gli nasconde i tratti del volto. La sua foto viene elaborata al computer e sovrapposta alla vecchia immagine conservata negli archivi. «E’ lui» assicurano gli esperti. Vengono attivati nuovi sistemi di intercettazione, il libanese viene tenuto sotto controllo giorno e notte. Si muove con circospezione, usa sistemi diversi per cercare di mimetizzarsi. Per non destare sospetti, decide di radersi completamente assumendo tratti che lo fanno assomigliare ad un occidentale. Durante i pedinamenti, vengono individuati i complici che si muovono a Beirut per preparare l’azione. E si rintraccia il canale percorso dai terroristi per trovare l’esplosivo. Nelle conversazioni si parla di trecento chili di materiale a base chimica e di detonatori, si fa riferimento esplicito all’azione di un kamikaze. Si fa cenno ad altri successivi obiettivi da colpire come l’ambasciata americana di Beirut. Si paventa la possibilità di uccidere una tedesca indicata come un’agente dell’ intelligence di Berlino. «Dobbiamo colpire - afferma Miqati in un colloquio intercettato - per contare di più e trasferirci in Europa». I fondamentalisti vengono filmati e fotografati mentre trasportano il materiale.


LA TRAPPOLA - Qualche giorno fa, si mettono a punto i dettagli dell’operazione che deve servire a bloccare il commando. Una squadra di specialisti del Sismi torna a Beirut. Viene esclusa l’ipotesi di fare irruzione in uno degli appartamenti affittati dalla «cellula»: troppo rischioso perchè l’esplosivo è custodito proprio nelle case e non si può escludere che i terroristi decidano di farsi saltare in aria nel palazzo. Scatta dunque la trappola. La «fonte» contatta Miqati. «C’è un problema con i passaporti - avverte - dobbiamo vederci». L’uomo accetta l’incontro. L’appuntamento è fissato per le 12 di venerdì nel parco pubblico di Beirut. Tra panchine e cespugli sono mimetizzati una ventina di uomini dei servizi segreti libanesi e italiani. La «fonte» aspetta in un furgone che Miqati arrivi per dare l’ok alla cattura. Alle 12,10, il terrorista entra nel parco. Porta occhiali scuri e un cappello per cercare di mimetizzarsi. Si muove con circospezione. «E’ lui» conferma la «fonte». Gli 007 libanesi lo affiancano, poi lo circondano. Miqati si agita, capisce che qualcuno lo ha tradito, cerca di scappare. Gli puntano una pistola alla tempia, lo ammanettano. Poi entrano nel suo appartamento. Lì sono nascosti 100 chili di esplosivo e dieci detonatori. Gli agenti, già appostati davanti ai «covi», bloccano gli altri componenti della «cellula». Alle 12,30 di venerdì, il direttore del Sismi Nicolò Pollari comunica a Palazzo Chigi che la missione è compiuta.

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