Da La Repubblica del 15/09/2004

IL CASO

Il potere sovietico di Putin

di Sandro Viola

FREDDO, imperturbabile: è questa l´immagine di Vladimir Putin cui ci siamo abituati. Ma nei giorni successivi al massacro di Beslan, con i russi sgomenti e una parte della stampa capace finalmente di mettere sotto accusa l´operato del governo, Putin non sembrava più tanto imperturbabile. Il volto che ha mostrato alla televisione era infatti contratto, l´eloquio incerto. Le nuove misure antiterroristiche che si sforzava d´annunciare con tono fermo e rassicurante, suonavano in realtà vaghe, confuse. E intanto i ministri e i capi delle varie polizie continuavano a contraddirsi o a mentire: sul numero dei morti, sul numero e la nazionalità dei terroristi, sulle complicità ? un giorno sostenute e l´indomani negate ? che lo squadrone della morte ceceno avrebbe avuto in Ossezia del Nord.

C´era insomma un forte turbamento, al Cremlino, e non soltanto per le centinaia di morti della scuola n? 1 o per l´ennesima prova d´inefficienza data dagli apparati di sicurezza russi. A incrinare l´imperturbabilità di Putin era soprattutto la consapevolezza che dopo Beslan non sarebbe stato possibile tacere. Non era più possibile fare come all´indomani degli altri devastanti attentati del terrorismo ceceno: promettere con due parole la punizione dei colpevoli, quindi far calare il silenzio e lasciare che l´episodio (una strage, nella maggior parte dei casi) finisse negli archivi. Stavolta bisognava parlare, e Putin è uno che per carattere, formazione, abitudini di vita, è incline a tacere e non a parlare. E oltre che parlare, stavolta bisognava compiere uno o due gesti mai compiuti prima.

Da qui i vistosi ondeggiamenti che il potere ha avuto in quei primi giorni. Subito, i giornali e i pochi oppositori che siedono alla Duma avevano chiesto una commissione parlamentare d´inchiesta. Putin l´aveva scartata come «un inutile show politico», allo stesso modo che due anni fa, dopo la tragedia del teatro Dubrovka, aveva fatto respingere dalla sua maggioranza parlamentare una richiesta simile avanzata dai liberali. Ma poi, con i giornali che continuavano a sbandierare l´esempio dell´America post 11 settembre, dove i due rami del Congresso erano stati coinvolti nell´accertamento dei fatti, ha dovuto tornare sui suoi passi: e venerdì scorso ha infatti approvato la commissione d´inchiesta.

A formarla, è vero, saranno membri del Consiglio della Federazione, la Camera alta del Parlamento russo: gente non eletta, quasi tutta nominata dal presidente, e quindi persino più docile di quanto non sarebbero stati i membri della Duma. Ma se è vero che non ci si può attendere risultati significativi dai lavori d´una commissione al guinzaglio del Cremlino, resta il gesto: per la prima volta, una tragedia nazionale non viene discussa e affrontata soltanto nelle stanze segrete del potere, come fu per l´affondamento del "Kursk", per la Dubrovka o per le altre carneficine perpetrate dal terrorismo ceceno. Oltre all´esecutivo, un altro organo istituzionale è infatti chiamato ad occuparsene. E si capisce quindi perché a Mosca, per un paio di giorni dopo il varo della commissione parlamentare, sia sorta qualche speranza.

L´attesa d´un cambio, di un´apertura verso l´opinione pubblica. Il segno che di fronte alla gravità dell´offensiva terroristica il potere aveva deciso una maggiore trasparenza, una linea non troppo distante da quella che avrebbe assunto il governo d´una vera democrazia.

Ma dopo appena due giorni, ecco la doccia fredda. Convocato al Cremlino l´establishment istituzionale - presidenti delle Camere, presidenti delle repubbliche e governatori delle regioni, responsabili della sicurezza, ministri e via dicendo: in tutto 500 persone - , Putin ha annunciato una «radicale ricostruzione dello Stato» che avrà come effetto un ulteriore rafforzamento del potere esecutivo e suo personale. I governatori delle 55 regioni e i presidenti delle 21 repubbliche autonome non verranno più eletti dalle popolazioni, infatti, ma designati dal Cremlino e successivamente confermati dai parlamenti locali. Il doppio sistema elettorale per la Duma (metà dei deputati eletti dalle liste dei partiti nazionali, metà in collegi uninominali) viene abolito: tutti saranno eletti col sistema proporzionale, ciò che consentirà un maggiore controllo del vertice moscovita sulle liste dei partiti e quindi sui candidati alla Duma.

Si tratta d´una svolta del sistema politico russo, d´un giro di vite sul po´ di vita democratica del paese. Una vittoria dei cosiddetti siloviki, gli ex ufficiali e funzionari del Kgb di cui Putin ha infarcito l´intero apparato statale, e che secondo alcuni sociologi russi svolgono oggi il 70 per cento delle funzioni più importanti nella struttura della Federazione. Sono loro che, insieme alla burocrazia e a quel che resta dell´industria e dei servizi di proprietà dello Stato (armamenti, energia, oleodotti, telecomunicazioni, banche), costituiscono la base su cui poggia il potere di Putin. Altri interlocutori nell´economia, nella società civile, nella cultura, non ne esistono.

Molti s´aspettavano che nel corso del suo secondo mandato presidenziale Putin avrebbe aperto ad altri alleati, ad altri gruppi sociali, anche per non restare troppo dipendente dai suoi ex colleghi del servizio segreto. Ma l´allargamento non c´è stato. Forse Putin l´avrebbe voluto, ma i siloviki, che il potere lo vogliono gestire da soli, non l´hanno consentito. La loro visione è quella d´uno "Stato forte" governato da un´élite di professionisti, con istituzioni deboli e gruppi d´interesse legati ai vertici della burocrazia. E il loro primo riflesso in una situazione d´emergenza come quella creata dall´inarrestabile dilagare del terrorismo ceceno, è stato quello di pretendere un maggiore accentramento del potere.

Certo, tra le misure annunciate lunedì ce n´è anche un paio che, se mai venissero attuate, si dovrebbero considerare positive, come il piano di rilancio delle economie nelle regioni caucasiche. Ma la sostanza delle decisioni prese al Cremino è un´altra: la riduzione della rappresentanza elettorale.

Si potrebbe perciò concludere osservando come la Russia di Putin continui a farsi sempre più somigliante, nella distanza tra società e potere, nell´ossessione del centralismo, alla Russia sovietica. Ma dopo Beslan e le misure adottate come risposta a quella tragedia, c´è un altro aspetto che salta agli occhi. La strage della scuola n?1 ha finito con l´avvantaggiare gli uomini che per la loro provenienza, e per gli incarichi che molti di essi ancora ricoprono nell´apparato della sicurezza, avrebbero dovuto evitarla. In altri paesi, Beslan sarebbe stato considerato il loro definitivo fallimento: nella Russia di Vladimir Putin è servita a rafforzarli.

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