Da La Repubblica del 13/09/2004

La guerra tema unico della campagna elettorale. Il candidato democratico insiste: "Sempre meno soldati in Iraq"

E Kerry spiega il suo piano "Così torneremo a casa"

Powell: nessun legame tra Saddam e l´11 settembre

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Sicurezza e terrorismo per Bush, sanità e occupazione per Kerry. Erano questi i desideri dei "guru" politici di entrambe le parti, convinti che l´Iraq e quanto accade laggiù era forse meglio tenerlo un po´ ai margini: i consiglieri del presidente per via di una situazione militare che non sta andando troppo bene (e per il numero dei morti ormai sopra i mille); quelli del senatore di Boston perché i voti di "Jfk 2" al Congresso (sì alla guerra, no ai fondi, più quel lontano voto contro la guerra del Golfo nel 1991) potevano creargli nuovi impacci e dopo la riuscita campagna dei "veterani del Vietnam contro Kerry" era meglio non rischiare un secondo flop.

Quanto succede tra Bagdad e Falluja ha finito però per condizionare tutti e due gli schieramenti e - mentre il settimanale Newsweek mette in guardia dai trucchi elettorali (slime time live, tempo di fango in diretta) - l´Iraq si avvia ad essere il tema principale nelle sette settimane che mancano al voto. Se Bush se l´è cavata (per ora) meglio legando l´Iraq alla sicurezza interna e ai possibili nuovi attacchi di Al Qaeda, è adesso la volta di Kerry che - pressato da consiglieri e finanziatori - ha deciso di passare all´attacco proprio sull´Iraq.

Kerry - In un´intervista al settimanale Time ecco messa nero su bianco la nuova strategia: "Il 90 per cento delle perdite e dei costi in Iraq ricadono sulle spalle degli americani. Questo non è accettabile. La mia sarà una leadership più aggressiva, coinvolgerò altri paesi e porterò nuove nazioni al nostro fianco".

Uno degli obiettivi che il senatore del Massachusetts si propone nel caso venisse eletto presidente è quello di "riportare a casa" appena sarà possibile i marine e gli altri soldati americani: "Sono convinto che un nuovo presidente, una nuova credibilità, una nuova partenza, cambierà radicalmente l´equazione in Iraq. Io otterrò, contrariamente al presidente, di coinvolgere nuovi paesi e riporterò i nostri soldati a casa". Obiettivo dichiarato è quello di riportare i 150mila soldati Usa "a casa entro la fine del mio primo mandato" (gennaio 2009) ma il candidato democratico spera di farne tornare in patria un numero (non meglio precisato) "entro la fine del primo anno" (2005).

Kerry ha rivendicato "rapporti personali con leader di tutto il mondo" (argomento che in passato si era rivelato un boomerang) e pur promettendo di "non cedere la gestione della nostra sicurezza a nessun altro paese" si è detto in grado di "convincere i leader stranieri" e di "costruire le strutture bipartisan necessarie a rafforzare il paese".

Se il 2 novembre le urne lo premieranno, il senatore intende anche organizzare una "conferenza internazionale per condividere la responsabilità con i paesi europei ed arabi". Quanto alla ricostruzione dell´esercito iracheno che incontra gravi difficoltà - anche la ´brigata Falluja´, composta da ex reparti speciali di Saddam, è stata sciolta dopo essere andata allo sbando alla prima vera prova del fuoco - Kerry ha annunciato una "velocizzazione nell´addestramento dei militari e dei poliziotti di Bagdad". Quanto ai costi di questa guerra "stiamo spendendo 200 miliardi di dollari che avrebbero potuto finanziare le scuole in America e i programmi di doposcuola; che sarebbero potuti andare a progetti per migliorare la sanità e che avrebbero potuto finanziare le infrastrutture".

Powell - Sull´Iraq e sui legami con il terrorismo ha parlato ieri - dagli schermi della Nbc - anche il segretario di Stato Colin Powell. Il quale ha ripetuto come non ci siano prove di legami diretti ´conosciuti´ tra il regime di Saddam Hussein e gli autori degli attentati dell´11 settembre, anche se "sappiamo che ci sono stati rapporti e scambi tra Al Qaeda e quel regime".

La dichiarazione del segretario di Stato è stata subito ripresa dal candidato democratico per metterla in contraddizione con la linea del vicepresidente Dick Cheney che insiste da tempo - lo ha ripetuto alla Convention repubblicana e nelle ultime interviste - che quei legami sono provati: "Il segretario di Stato Powell è stato franco con il popolo americano riguardo all´assenza di legami tra l´Iraq, Saddam Hussein e gli attentati dell´11 settembre. Powell ha detto la verità. Sbaglia dunque chi in questa amministrazione continua ad ingannare gli americani su un legame che non esiste. Dick Cheney continua ad ingannare intenzionalmente l´opinione pubblica con il solo scopo di includere l´Iraq nella guerra contro il terrorismo: il presidente George Bush dovrebbe ora dire chi ha ragione: il vicepresidente Cheney o il segretario di Stato Powell". Per il segretario di Stato la pur difficile situazione di oggi e l´aumento delle violenza "non impedirà" che in Iraq si tengano le elezioni previste per il gennaio del prossimo anno.

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