Da La Repubblica del 13/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/esteri/iraq33/giorpalesti/gior...

Morte di un reporter in diretta televisiva

di Vittorio Zucconi

IN UNA guerra combattuta per immagini d'orrore, nella quale gli esseri umani sono semplici strumenti di intimidazione e fantocci da bruciare sul palcoscenico globale, una battaglia importante è stata perduta ieri a Bagdad dall'America e per conseguenza da tutti noi, quando in diretta tv un giornalista di un network arabo è stato colpito e ucciso dalle schegge di un missile Usa. L'abbiamo visto cadere, mentre il suo sangue sporcava l'obiettivo della telecamera che lo stava riprendendo.

Il reporter di al Arabya abbattuto dalle schegge si aggiunge a una lista ormai molto lunga di giornalisti arabi, oltre che europei e americani, morti sotto i colpi dei carri armati e dei velivoli d'assalto Usa, a cominciare dai corrispondenti della odiata al Jazeera bersagliati "per sbaglio" nei loro uffici ancora nelle ore del primo attacco alla capitale Irachena. Non è dunque una novità, la sua morte. La novità è nel fatto che la sequenza della sua uccisione sia stata registrata in diretta e dunque rappresenti una delle rare e sicure documentazioni di quegli "effetti collaterali", che nei rapporti dei militari appaiono come esangui statistiche, seguite a volte da inchieste di comodo e da insolenti scuse.

Se la guerra di Bush può vantare la propria "intelligenza" è perché della strage collaterale non ci sono prove visibili e i morti innocenti sono soltanto sacchi raccolti tra le rovine. Ma non c'è dubbio che se potessimo vedere le migliaia di civili innocenti uccisi "per errore" durante il bombardamento di un presunto covo terroristico, il disgusto dell'opinione pubblica mondiale per il prezzo umano di questa guerra crescerebbe ancora. Per la fortuna di coloro che appoggiano e incitano la nostra guerra di civiltà, gli effetti collaterali raramente, o mai, si vedono mentre accadono. O non esistono o sono cancellati.

Ieri, in Italia grazie ai tg che hanno mandato in onda una sequenza disponibile a tutte le reti del mondo, invece si è visto. E, attraverso al Arabya, l'hanno vista milioni di spettatori nell'universo della mezzaluna, dall'Atlantico al Pacifico del Sud, dove già la convinzione che l'America sia una superpotenza violenta e ipocrita, che non pratica quello che predica, è tragicamente e profondamente radicata. La prima giustificazione data dai comandi americani, che hanno spiegato l'attacco dell'elicottero come un'operazione lanciata per proteggere la folla che si era raccolta attorno al relitto del blindato Bradley, non ha fatto altro che rafforzare, nel cuore e nelle menti di coloro che dovremmo conquistare, questa persuasione. Assai più probabile è che l'equipaggio di quell'elicottero di pattuglia in cielo abbia reagito alla vista del Bradley in fiamme sul quale qualcuno aveva issato la bandiera di Al Qaeda, per rabbia, per vendetta, forse per proteggere l'equipaggio del veicolo nel dubbio che fosse ancora intrappolato nella carcassa. La sindrome di Mogadiscio e del Black Hawk abbattuto è fortissima tra i soldati americani. Ma il motivo di quell'assalto alla cieca dall'aria ha poca importanza.

Importante ed esemplare è che nella giornata di ieri, diciannove mesi dopo la guerra e quattro mesi dopo l'operettistica fuga del proconsole Paul Bremer dalla capitale e l'insediamento del presunto governo sovrano di Allawi in una cerimonia moragnatica semiclandestina, il cuore di Bagdad sia ancora palesemente in balia dei ribelli, o insorti, o terroristi, o fanatici o comunque di coloro che avrebbero perduto la guerra e sarebbero in rotta.

La morte del reporter arabo non è stata una tragedia epocale, né un evento che possa consumarci come l'abominio di Beslan o la prigionia oscura delle due giovani volontarie italiane, sulle quali c'è chi sta addirittura giocando con presunti comunicati diffusi nelle fogne di Internet. È stata soltanto l'ennesima testimonianza del falso continuo al quale siamo sottoposti da un'amministrazione americana condannata a mentire di fronte all'enormità della menzogna iniziale, se non vuole perdere il potere. Solo che questa volta, il falso è divenuto visibile, come il sangue di un uomo sull'obbiettivo di una telecamera.

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