Da La Stampa del 07/09/2004

Il vescovo cattolico di Baghdad accusa anche Israele per la guerra

Shlemon Warduni all’incontro di Sant’Egidio a Milano

Alla richiesta di spiegazioni risponde: «Non commento». «Siamo tristi per Baldoni e i soldati italiani uccisi, ma dei nostri bimbi nessuno parla»

di Marco Tosatti

Condanna senza appello per la «guerra sporca americana in Iraq», convinzione che sia in atto «una vera e propria occupazione» con metodi «uguali a quelli di Saddam» e con una «informazione allineata» che non dice il vero: gli esponenti iracheni che hanno illustrato all’incontro di Sant’Egidio a Milano la situazione dell’Iraq erano tutti d’accordo, salvo un sacerdote, Daniel Shammon, cattolico iracheno residente in Svezia, che si è sempre occupato degli esuli e ha ricordato che «abbiamo sofferto 35 anni di regime dittatoriale» senza che «nessuna istituzione islamica o araba influenzasse anche solo superficialmente il regime per ottenere margini di libertà».

L'opposizione irachena, oppressa e strangolata, non ha trovato alcun posto nei Paesi arabi e musulmani: «State qui criticando - ha incalzato Shammon i leader islamici presenti alla tavola rotonda - le forze di occupazione, e per farlo usate una libertà di espressione che non esisteva prima in Iraq. Nelle moschee avvengono conferenze infuocate anche solo contro un bicchiere di vino, ma non vediamo veemenza contro il terrorismo e i rapimenti».

Ma la gente non ne può più, in Iraq, secondo Shlemon Warduni, vescovo cattolico di Baghdad. «I nostri bambini gridano, i nostri giovani, le nostre giovani gridano, i nostri vecchi, i nostri malati gridano: basta! Basta con la guerra. Siamo stanchi della guerra. Da più di cinquant'anni la guerra. E poi chiediamoci: perché la guerra? Non c'è nessuna ragione. Non c'è per noi, se non l'interesse del petrolio e forse anche Israele». Una chiamata in causa che suscita richieste di approfondimento, ma il presule a una domanda precisa si chiude: «Israele, in che modo? Io ho detto soltanto, questo, e non commento».

Warduni però si lamenta soprattutto perché alcuni morti sembrano contare più degli altri. «Siamo tristi, addolorati, per quel giornalista, il giornalista Enzo, italiano, che ricordiamo con affetto e preghiamo per lui e per la sua famiglia. Siamo tristi per quei soldati italiani che sono stati uccisi, siamo molto addolorati; per gli americani stessi che sono lì. Però siamo tristi che i nostri bambini, giovani, tutte le nostre vittime non vengano messe in evidenza. Quanti rapiti ci sono ogni giorno»?

E’ uno spaccato drammatico di vita quotidiana, quello che emerge dalle parole del vescovo. «Ci manca una cosa terribile che non c'è, la sicurezza. La grande gioia della pace. Viviamo nella paura, non siamo sicuri. L'Iraq è un Paese di pace, ed è diventato un Paese di guerra. La sua cultura è di seimila anni e più, ed è diventato senza cultura. Avete sentito che cosa è stato fatto al museo di Baghdad. Dove sono i suoi pezzi adesso? Non si sa. L'Iraq è molto ricco, è diventato purtroppo molto povero. L'Iraq può far vivere tutto il Medio Oriente, e adesso deve andare mendicando le cose dagli altri. Ma non è mendicare: è un atto di carità fraterna. E certamente non eravamo abituati alle autobombe, e adesso ogni giorno purtroppo a Baghdad, a Mossul, a Najaf, a Samarra, a Karbala ne esplodono. Non eravamo abituati al rapimento delle persone per essere poi riscattate».

I cristiani in particolare, perché considerati benestanti, sono vittime dei sequestri a scopo di riscatto, una piaga dell’Iraq occupato. «Le nostre frontiere sono aperte, i terroristi sono dappertutto, anche questo dobbiamo ricordare qui. Le armi sono in mano di tutti, è una situazione tremenda e non si vede una via di uscita». La proposta, condivisa da tutti è questa: scrivere come capi religiosi un lettera ai potenti affinché «prendano la causa irachena sul serio, fuori da tutti gli interessi, fuori dall'oro nero, che ci distrugge; prendetelo l'oro nero, non lo vogliamo. Vogliamo la pace per i nostri bambini, per i nostri giovani, che non hanno un futuro. Prendete la questione irachena sul serio, potete risolverla».

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