Da La Repubblica del 18/08/2004
Il Dipartimento di Stato accetta il risultato: "Si chiude la crisi del paese". E´ polemica tra i promotori della consultazione
Venezuela, gli Usa benedicono Chavez
Ma l´opposizione insiste: "Referendum truccato, colpa del software"
Intellettuali e analisti: "Voto comprato con i soldi del petrolio, ma la sfida comincia ora"
di Omero Ciai
CARACAS - Sott´accusa a questo punto c´è finito il software. Quello dello macchinette elettroniche usate per votare nel referendum di domenica scorsa. Mentre perfino la Casa Bianca riconosce la vittoria di Hugo Chavez, increduli per la sua ampiezza, dirigenti dell´opposizione e sondaggisti, si sono convinti che alcune macchine possono essere state manomesse per registrare un voto diverso da quello della scheda, una specie di ricevuta di conferma, emessa dalla macchina. Ossia, dicono, l´elettore che votava «sì» riceveva un ticket che confermava il suo voto ma la macchinetta poteva trasmettere elettronicamente l´opzione opposta. Quindi per accettare i risultati l´opposizione chiede che siano contati tutti i bigliettini conservati nelle urne dei seggi. E´ difficile che ottenga l´avallo del Consiglio elettorale per l´avvio di una procedura del genere, significherebbe ricontare manualmente tutti i suffragi emessi, soprattutto perché il Centro Carter e gli altri osservatori internazionali sostengono di aver provato un certo numero di macchinette e di non aver riscontrato problemi. Nella sostanza la partita è stata chiusa proprio dalla fermezza con la quale l´organizzazione guidata dall´ex presidente americano ha confermato i risultati ufficiali. Difficile tornare indietro.
Chavez non poteva sperare in una congiuntura internazionale migliore. Le preoccupazioni per il costo del petrolio e per la stabilità del Venezuela hanno convinto quasi tutti ad accettare il risultato così com´è, sperando che, nella nuova fase, Chavez moderi i toni e apra il dialogo con l´opposizione. Così mentre Cuba e la Spagna di Zapatero ne salutano il successo, anche Washington, con una dichiarazione del Dipartimento di Stato, accetta che «Chavez ha ottenuto il sostegno della maggioranza degli elettori» e che «si tratta di una conclusione importante per la crisi del Venezuela».
Che la vicenda del referendum vada archiviata in fretta è la convinzione di Teodoro Petkoff, giornalista, direttore di Tal Cual, e gran fustigatore, da sinistra, delle «aspirazioni dittatoriali» di Chavez. «Basta con questa stupidaggine delle macchinette - dice - l´opposizione deve accettare la sconfitta e iniziare a lavorare per battere il presidente sul suo terreno, quello politico». Ma tra gli oppositori la preoccupazione è diffusa. Chi ha firmato per il referendum ora teme ritorsioni. Manuel Caballero, scrittore e storico, sostiene che «Chavez utilizza una retorica di sinistra per nascondere la sua essenza militarista» e spiega il risultato con «un sentimento autoritario presente nella società venezuelana. Soprattutto nei suoi ceti più emarginati, quel lumpen proletariat che ha bisogno di seguire un leader». «Chavez - insiste Caballero - è un fenomeno che emerge in una fase di crisi istituzionale del Venezuela che ricorda da vicino gli anni della repubblica di Weimar in Germania, il collasso politico che aprì le porte del potere a Hitler».
La «vocazione dispotica» di Chavez è ciò che più preoccupa anche il professor Alexis Marquez, accademico e scrittore di fede socialista. Marquez sostiene che Chavez non professa alcuna ideologia, a parte un cocktail di idee altruiste incoerenti e indefinite, e che il maggior problema del presidente è la sua straordinaria incapacità di governo. «Il Venezuela oggi sta molto peggio economicamente di quando Chavez arrivò al potere nel ?98».
E, per spiegare il consenso che ha ottenuto, l´ex diplomatico Simon Alberto Consalvi, fa appello al «voto di scambio» delle spese dello Stato. «Era impossibile che Chavez non vincesse: aveva un alleato imbattibile nei fondi pubblici del petrolio che ha speso nel corso della campagna elettorale». «Tutte le iniziative prese a favore dei ceti più bassi nell´ultimo anno hanno allargato il consenso in suo favore. Ma - dice Consalvi - si tratta soprattutto di azioni populiste e di cortissimo respiro. Chavez non ha speso nulla nella costruzione di nuove infrastrutture, ha solo applicato una classica politica del sussidio a favore dei ceti più poveri. Sussidi che, quando le risorse del petrolio diminuiranno, non avranno contribuito granché al miglioramento delle condizioni di vita sul lungo periodo». «Eppure - conclude Consalvi - non mi dispiace che abbia vinto perché non è il suo trionfo, penso che questa vittoria sia un castigo perché adesso dovrà scegliere, chiarire, dirci che cosa vuol fare con questo paese. E non credo che lo sappia».
Chavez non poteva sperare in una congiuntura internazionale migliore. Le preoccupazioni per il costo del petrolio e per la stabilità del Venezuela hanno convinto quasi tutti ad accettare il risultato così com´è, sperando che, nella nuova fase, Chavez moderi i toni e apra il dialogo con l´opposizione. Così mentre Cuba e la Spagna di Zapatero ne salutano il successo, anche Washington, con una dichiarazione del Dipartimento di Stato, accetta che «Chavez ha ottenuto il sostegno della maggioranza degli elettori» e che «si tratta di una conclusione importante per la crisi del Venezuela».
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