Da La Repubblica del 24/07/2004

Le promesse del Cavaliere

di Giulio Anselmi

NEL giorno del doppio sboom si sgonfiano le promesse berlusconiane e il piatto del governo appare desolatamente vuoto. In poche ore Berlusconi ha visto fallire il tentativo di ristabilire il suo potere assoluto nella Casa delle libertà, ha licenziato un commissario del calibro di Monti dalla Ue, per sostituirlo con Buttiglione, e ha dovuto ammettere che la Finanziaria sarà di 24 miliardi di euro, ai quali devono aggiungersi i 7,5 della manovrina testé varata e quelli (12?) della riduzione fiscale: una manovra pesantissima, appena seconda a quella di Prodi per entrare nell´euro. Ma allora c´era un obiettivo da raggiungere, la moneta unica, grazie alla quale abbiamo un ombrello che ci ripara dalla grandine, mentre oggi vengono chiesti sacrifici pesantissimi solo per tappare la voragine, tenuta colpevolmente nascosta da ripetute assicurazioni che tutto andava bene e che il meglio era dietro l´angolo. Perso il controllo della maggioranza e smarrito quello della finanza pubblica, i pilastri che tre anni fa avevano garantito la vittoria si sgretolano, tra comportamenti balordi, bersagliati da numeri da disastro.

È finita la stabilità garantita dal leader, oltre e contro la stessa politica, non ci sarà maggiore ricchezza per tutti. Anzi. Il nuovo ministro dell´Economia Siniscalco, che ieri s´è presentato per la prima volta in Consiglio, non è apparso né debole né corrivo. Ha fornito le linee guida del Dpef: il rapporto tendenziale tra deficit e Pil per il 2005 sarà del 4,4 % (contro il massimo del 3 tollerato dall´Europa) e dovrebbe essere ricondotto al 2,7 dalle misure in preparazione, 17 miliardi strutturali, 7 una tantum.

Come dicono sempre questi documenti il governo "punta a stimolare la crescita con investimenti sulla ricerca, sull´istruzione, sul Mezzogiorno e sull´innovazione". E le cose miglioreranno riducendo il debito dal 2007 e portando l´indicatore-simbolo dell´avanzo primario dall´attuale 2,4 al 4,8 nel 2008. Vedere per credere.

Occorre dare atto al professore succeduto a Tremonti, come ha riconosciuto un suo lontano predecessore, il ferrigno Visco, che ha scelto la strada della verità: le cifre fornite rivelano uno sfondamento strutturale del bilancio pari ad almeno due punti di Pil. Perfino sul fronte della riduzione fiscale, cavallo di battaglia del premier che ancora ad aprile, alla vigilia delle europee, annunciava come imminente un decreto impossibile da realizzarsi (avrebbe comportato una riduzione del gettito di oltre 19 miliardi), Siniscalco ha dato prova di realismo: si farà, ma sarà divisa in due, parte nel 2005 e parte l´anno successivo. E pazienza per le promesse di Berlusconi.

Carta straccia, saldi di fine stagione, sogno divenuto incubo: i politici dell´opposizione facevano a gara, ieri, nell´inventare sinonimi. Ma certo i vecchi errori di previsione e l´incapacità di tenere sotto controllo la spesa corrente hanno portato il paese sull´orlo della catastrofe. Si dirà che c´è andato altre volte. Ma ora tutti i segni sono al negativo. Secondo Bankitalia alcune delle entrate previste dalla precedente finanziaria sono di esito incerto. La politica delle toppe - condoni fiscali e cartolarizzazioni - con cui si è tirato avanti ha dato quel che poteva dare. La riforma delle pensioni, bloccata quattro giorni fa per ritorsione dalla Lega, se passerà, comincerà a produrre effetti tra quattro anni. Le imprese, soprattutto del Sud, hanno subito i colpi di scure sulla legge 488. Banche e assicurazioni si trovano alle prese con nuove tasse. Gli enti locali sono in rivolta. Di fronte all´ipotesi di sacrifici i sindacati hanno già messo le mani avanti, chiedendo rinnovi contrattuali nel pubblico impiego con aumenti dell´8%.

Chissà quant´è contento Fini, in questo marasma, di aver strappato a Tremonti lo scalpo della collegialità, che dovrebbe consentirgli di dire la sua sulla politica economica. Oggi sembra appagato e allineatissimo al suo sdoganatore, le alleanze, stramba quadriglia, si sono riformate nel Polo: prima An e Udc contro Lega e Forza Italia, ora Udc contro tutti. Dopo molte umiliazioni, Fini ha scelto una prudenza che scolora nella dipendenza: anche lui, come l´Udc, ha colonnelli «ministeriali» la cui lealtà non va messa alla prova. Follini, invece, ha giocato d´anticipo: ieri alle otto e mezzo, di prima mattina per i tempi della politica romana, ha convocato l´Ufficio politico. Non c´era tempo da perdere: il premier, dopo aver minacciato di scatenargli contro le tv, si era messo in testa di portargli via il partito.

Una resa dei conti. Il «tipo», come il Cavaliere lo chiama in alternativa a «quello là», rifiutandosi di pronunciare il suo nome, ha sì approvato le leggi ad personam su giustizia e tv, ma non ha voluto entrare nel governo (per non far apparire strumentale e ricattatoria la sua critica postelettorale), si è impuntato a emendare la devolution della Lega, piace troppo alla sinistra.

Ormai incapace di contenerlo, in bilico tra esasperazione e rancore, il presidente del Consiglio ha deciso di fermarlo, ricorrendo all´arma avvelenata del tradimento. La merce di scambio, dicono le indiscrezioni, era il posto italiano di commissario europeo per Buttiglione e, a ricasco, un ministero per Baccini, esponenti della parte Udc più sensibile al fascino del Cavaliere e del governo.

Come, almeno per ora, è finita, lo ha detto - tra fermezza e sberleffo - il presidente dei deputati Udc Luca Volontè: «C´è il segretario, ci sono i nostri emendamenti e ci sono le nostre priorità nel Dpef». Baccini ha dichiarato di scegliere l´unità del partito e, a sera, si è saputo che Buttiglione andrà a Bruxelles. Senza alcun baratto, ma per "convinzione" del Cavaliere. Parola di Follini. Ma non è un lieto fine. Con la scelta di Buttiglione, l´Italia rinuncia al suo miglior rappresentante all´estero, punito forse da Berlusconi per non avere voluto fornirgli copertura alla guida dell´Economia: Monti, che aveva esplicitamente chiesto di restare, è stimatissimo per competenza e coraggio: i media di mezzo mondo lo hanno soprannominato SuperMario. È difficile accettare che venga sacrificato alla realpolitik, sostituito strumentalmente senza neppure un cenno di ringraziamento. Anche una poltrona più larga per il filosofo cattolico, del resto, non fermerà il conflitto tra Follini e il premier: i rapporti sono irrimediabilmente deteriorati, ancora ieri il segretario centrista ha ribadito di voler nettamente trasformare la tonalità politica del centrodestra, puntando a un federalismo equo e solidale e a un primo ministro meno onnipotente. Ma i mugugni nel partito crescono, come la comprensione per le ragioni del presidente: s´è mai visto un monarca assoluto che accetta di ridimensionarsi?

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