Da La Repubblica del 23/07/2004
"Fummo colti di sorpresa" ammette il Rapporto. Oggi i controlli sono moltiplicati, ma la sicurezza è lontana
La nazione burocratica sconfitta dalla fantasia dei terroristi
Mentre Cia e Fbi macinavano tonnellate di rapporti mai letti decine di terroristi brulicavano in territorio americano
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON - Hanno fatto apposta, e hanno fatto bene, gli avvocati delle vittime, a distribuire alle tv, proprio mentre la Commissione d´inchiesta pubblicava ieri il rapporto sull´11 settembre, il video dei cinque terroristi che attraversano i distratti controlli all´aeroporto di Washington, verso il Boeing che avrebbero schiantato sul Pentagono.
Le 575 pagine del rapporto ci spiegano ora che il successo di Al Qaeda non fu colpa di Clinton o di Bush, ma fu il prodotto della nostra incapacità di «immaginare» tanta protervia e tanta aggressività e le parole tentano in fondo di dire ciò che le immagini ci gridano. Il senso di distrazione, di sicurezza infrangibile, di routine che accompagnava il nostro modo di vivere e di viaggiare fino a quella mattina di un tempo ormai tanto lontano.
«Tutti fummo colti di sorpresa, impreparati», diceva ieri presentando mesto le 575 pagine del rapporto uno dei due copresidenti della commissione, il democratico Lee Hamilton, e quel volume è un ammirevole, serena ed equilibrata confessione di «fallimenti» politici e di inettitudini burocratiche. Una denuncia coronata dalle immancabili proposte di riforma dello spionaggio e del controspionaggio americani, da raccogliere sotto un´autorità unica centrale che controlli e guidi il termitaio di agenzie di intelligence americane. Ma se l´inchiesta è seria e le proposte sono tanto ragionevoli quanto di improbabile realizzazione, sono i pochi minuti di video registrati dalle telecamere del "Dulles International Airport" nella capitale a misurare il tempo dello spirito e della realtà che è trascorso da allora, da quando abbiamo imparato a viaggiare con la paura nel sedile accanto.
Non sono tre anni, quelli che ci dividono dai cinque giovanotti che passano con gelida tranquillità tra i metal detectors e i raggi X del "Dulles Airport", nonostante pigolii di allarme e lucine rosse, ma sono secoli, proiettati sullo schermo di una macchina del tempo che ci ha fatto rivedere un passato distante come un´altra era. Ha riportato chi di noi viaggia in aereo e soprattutto chi ha attraversato mille volte quelle stesse barriere di presunta sicurezza in quello stesso aereoporto di Washington, per imbarcarsi sugli stessi voli American Airlines e United che i cinque omicidi avrebbero usato come bombardieri, alla rassicurante banalità di passaggi frettolosi e irritati davanti agli occhi glassati dalla noia di addetti alla sicurezza, pagati salari ridicoli da appaltatori privati.
Di questo narcotico lassismo, nota oggi la commissione di inchiesta e gridano inascoltati da tre anni i parenti delle vittime di Manhattan e di Washington, si accorsero invece benissimo i terroristi, ai quali non faceva difetto la «capacità di immaginare». Mentre la fabbrica della carta, la Cia e lo Fbi, la Dia (Pentagono) e la Nsa (sorveglianza elettronica) macinavano tonnellate di rapporti mai letti e di avvertimenti sibillini, senza collaborare e comporre le tessere del puzzle, come accusa la Commissione, diecine di terroristi brulicavano in territorio americano. Mentivano nelle loro domande di visto, ricevevano bonifici internazionali di fondi, aprivano conti bancari, noleggiavano auto, si facevano arrestare per guida con documenti scaduti, come Mohammed Atta, senza che mai nessuno, tra i «burocrati» della sicurezza e tra politici che pure dovrebbero saper «immaginare» il futuro, vedesse e capisse.
Ma né il Clinton degli anni ?90 o il Bush dei primi dieci mesi di indifferenza alla Casa Bianca volevano disturbare i nostri viaggi, scuotere la comodità e la rapidità di quei controlli formali negli aereoporti attraverso i quali i 19 dell´11 settembre passavano come coltelli nell´acqua. Non esisteva un database nazionale, un computer centrale che potesse raccogliere i dati sui sospetti al quale le polizie locali potessero rivolgersi per controllare se il guidatore fermato sull´autostrada avesse alle spalle qualcosa più di multe non pagate o il turista con visto temporaneo e scaduto di 90 giorni fosse in viaggio verso l´eternità del martirio. Il pubblico, noi tutti, eravamo ben lieti di attraversare a passo di corsa i colabrodi come quello del Dallas, o del Logan di Boston, dove si imbarcarono Atta e i complici diretti alle Torri Gemelle, perché la «convenience», la comodità, sembrava un diritto costituzionale intoccabile. E la puntualità dei voli, minacciata oggi dagli estenuanti controlli che costringono anziane signore a togliersi le scarpe e mamme a scannerizzare i biberon, era il verbo della società mobile e impaziente.
Oggi sono gli impiegati federali militarizzati e sindacalizzati, con tanti saluti al dogma repubblicano dei «privati» più efficienti dello Stato, a ricordare, a ogni imbarco, che il tempo dell´immaginazione eccitata è tornato e ogni compagno di viaggio va guardato come un possibile nemico. Il vuoto delle barriere al Dulles, illustrato dai dieci minuti di videotape, è diventato, in tutti gli aereoporti, la processione tormentosa dei passeggeri costretti a due ore di controlli magari per un´ora di viaggio. E la nobile promessa della Commissione, di riformare e accorpare le agenzie di sicurezza sotto un nuovo superdirettore con rango di ministro, garantisce che quella scena alle 7 e 15 dell´11 settembre raggiunga gli archivi della storia del volo, insieme con le posate d´argento, le hostess infermiere e i "clipper" idrovolanti della Pan Am. Quella «immaginazione» risvegliata è esplosa in comprensibile paranoia e la politica, salvata ma pungolata dalla Commissione, garantisce, nel solito paradosso, ancora più burocrazia per proteggerci. Arrivano ogni giorno nuove e più sofisticate macchine per scannerizzare i bagagli, migliaia di nuovi assunti entrano in servizio per darci la sensazione di essere più sicuri e protetti. Ma non realtà. Perché l´ultima, e più raggelante verità raccontata da quel video, e ammessa anche dalla Commissione d´inchiesta, è che i cinque del Dulles furono fermati ed esaminati dagli addetti. Non furono trovate armi né esplosivi. Furono fatti passare. In nessun aeroporto, esiste la macchina che sappia leggere le intenzioni.
Le 575 pagine del rapporto ci spiegano ora che il successo di Al Qaeda non fu colpa di Clinton o di Bush, ma fu il prodotto della nostra incapacità di «immaginare» tanta protervia e tanta aggressività e le parole tentano in fondo di dire ciò che le immagini ci gridano. Il senso di distrazione, di sicurezza infrangibile, di routine che accompagnava il nostro modo di vivere e di viaggiare fino a quella mattina di un tempo ormai tanto lontano.
«Tutti fummo colti di sorpresa, impreparati», diceva ieri presentando mesto le 575 pagine del rapporto uno dei due copresidenti della commissione, il democratico Lee Hamilton, e quel volume è un ammirevole, serena ed equilibrata confessione di «fallimenti» politici e di inettitudini burocratiche. Una denuncia coronata dalle immancabili proposte di riforma dello spionaggio e del controspionaggio americani, da raccogliere sotto un´autorità unica centrale che controlli e guidi il termitaio di agenzie di intelligence americane. Ma se l´inchiesta è seria e le proposte sono tanto ragionevoli quanto di improbabile realizzazione, sono i pochi minuti di video registrati dalle telecamere del "Dulles International Airport" nella capitale a misurare il tempo dello spirito e della realtà che è trascorso da allora, da quando abbiamo imparato a viaggiare con la paura nel sedile accanto.
Non sono tre anni, quelli che ci dividono dai cinque giovanotti che passano con gelida tranquillità tra i metal detectors e i raggi X del "Dulles Airport", nonostante pigolii di allarme e lucine rosse, ma sono secoli, proiettati sullo schermo di una macchina del tempo che ci ha fatto rivedere un passato distante come un´altra era. Ha riportato chi di noi viaggia in aereo e soprattutto chi ha attraversato mille volte quelle stesse barriere di presunta sicurezza in quello stesso aereoporto di Washington, per imbarcarsi sugli stessi voli American Airlines e United che i cinque omicidi avrebbero usato come bombardieri, alla rassicurante banalità di passaggi frettolosi e irritati davanti agli occhi glassati dalla noia di addetti alla sicurezza, pagati salari ridicoli da appaltatori privati.
Di questo narcotico lassismo, nota oggi la commissione di inchiesta e gridano inascoltati da tre anni i parenti delle vittime di Manhattan e di Washington, si accorsero invece benissimo i terroristi, ai quali non faceva difetto la «capacità di immaginare». Mentre la fabbrica della carta, la Cia e lo Fbi, la Dia (Pentagono) e la Nsa (sorveglianza elettronica) macinavano tonnellate di rapporti mai letti e di avvertimenti sibillini, senza collaborare e comporre le tessere del puzzle, come accusa la Commissione, diecine di terroristi brulicavano in territorio americano. Mentivano nelle loro domande di visto, ricevevano bonifici internazionali di fondi, aprivano conti bancari, noleggiavano auto, si facevano arrestare per guida con documenti scaduti, come Mohammed Atta, senza che mai nessuno, tra i «burocrati» della sicurezza e tra politici che pure dovrebbero saper «immaginare» il futuro, vedesse e capisse.
Ma né il Clinton degli anni ?90 o il Bush dei primi dieci mesi di indifferenza alla Casa Bianca volevano disturbare i nostri viaggi, scuotere la comodità e la rapidità di quei controlli formali negli aereoporti attraverso i quali i 19 dell´11 settembre passavano come coltelli nell´acqua. Non esisteva un database nazionale, un computer centrale che potesse raccogliere i dati sui sospetti al quale le polizie locali potessero rivolgersi per controllare se il guidatore fermato sull´autostrada avesse alle spalle qualcosa più di multe non pagate o il turista con visto temporaneo e scaduto di 90 giorni fosse in viaggio verso l´eternità del martirio. Il pubblico, noi tutti, eravamo ben lieti di attraversare a passo di corsa i colabrodi come quello del Dallas, o del Logan di Boston, dove si imbarcarono Atta e i complici diretti alle Torri Gemelle, perché la «convenience», la comodità, sembrava un diritto costituzionale intoccabile. E la puntualità dei voli, minacciata oggi dagli estenuanti controlli che costringono anziane signore a togliersi le scarpe e mamme a scannerizzare i biberon, era il verbo della società mobile e impaziente.
Oggi sono gli impiegati federali militarizzati e sindacalizzati, con tanti saluti al dogma repubblicano dei «privati» più efficienti dello Stato, a ricordare, a ogni imbarco, che il tempo dell´immaginazione eccitata è tornato e ogni compagno di viaggio va guardato come un possibile nemico. Il vuoto delle barriere al Dulles, illustrato dai dieci minuti di videotape, è diventato, in tutti gli aereoporti, la processione tormentosa dei passeggeri costretti a due ore di controlli magari per un´ora di viaggio. E la nobile promessa della Commissione, di riformare e accorpare le agenzie di sicurezza sotto un nuovo superdirettore con rango di ministro, garantisce che quella scena alle 7 e 15 dell´11 settembre raggiunga gli archivi della storia del volo, insieme con le posate d´argento, le hostess infermiere e i "clipper" idrovolanti della Pan Am. Quella «immaginazione» risvegliata è esplosa in comprensibile paranoia e la politica, salvata ma pungolata dalla Commissione, garantisce, nel solito paradosso, ancora più burocrazia per proteggerci. Arrivano ogni giorno nuove e più sofisticate macchine per scannerizzare i bagagli, migliaia di nuovi assunti entrano in servizio per darci la sensazione di essere più sicuri e protetti. Ma non realtà. Perché l´ultima, e più raggelante verità raccontata da quel video, e ammessa anche dalla Commissione d´inchiesta, è che i cinque del Dulles furono fermati ed esaminati dagli addetti. Non furono trovate armi né esplosivi. Furono fatti passare. In nessun aeroporto, esiste la macchina che sappia leggere le intenzioni.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
su The New York Times del 12/09/2006
di Deborah Sontag su The New York Times del 11/09/2006
News in archivio
''Inevitabile guerra in Iraq. C'erano legami tra Saddam e al Qaeda''
Stati Uniti: ''Più sicuri di 5 anni fa ma non del tutto''
Il segretario di Stato americano a Fox News alla vigilia del quinto anniversario dell'11/9: ''Abbiamo fatto tanto, la storia ci giudicherà''
Stati Uniti: ''Più sicuri di 5 anni fa ma non del tutto''
Il segretario di Stato americano a Fox News alla vigilia del quinto anniversario dell'11/9: ''Abbiamo fatto tanto, la storia ci giudicherà''
su Adnkronos del 11/09/2006
su Reuters del 11/09/2006