Da La Repubblica del 23/07/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/g/sezioni/politica/lugliocdl3/tenaglia/t...

IL COMMENTO

Il Cavaliere nella tenaglia

di Massimo Giannini

DA UN MESE si passano il cerino. L'uno con l'altro. Meglio, l'uno contro l'altro. Fini passa il cerino a Tremonti, Tremonti lo passa a Berlusconi, Berlusconi lo passa a Follini, Follini lo passa a Bossi, Bossi lo affida a Calderoli, Calderoli lo riporta a Roma e lo restituisce a Berlusconi. Tutti preoccupati di non bruciarsi le mani nella verifica, scaricandosi reciprocamente miserie umane e colpe politiche. Non hanno capito che il cerino è già spento, e che questa maggioranza, esausta e rissosa, le mani se l'è già bruciate da un bel pezzo.

Il Cavaliere è bruciato prima di tutto dalla politica. In queste ore convulse sta tentando di sottrarsi al gioco dei ricatti incrociati di Bossi e Follini. Il leader della Lega fa lanciare alle sue camicie verdi l'ultimatum: devolution in aula alla Camera prima delle ferie, e via gli emendamenti dell'Udc. In caso contrario, il Carroccio non voterà né il Dpef, né la legge sulle pensioni. Dunque si va alla crisi. Il leader dell'Udc lancia il suo contro-ultimatum: se mi costringete a ritirare gli emendamenti sul federalismo mi dimetto, e il partito si sfascia. Dunque si va alla crisi.

Berlusconi tenta disperatamente di sottrarsi a questa tenaglia, rinsaldando ancora una volta l'asse padano, ai danni degli ex democristiani. Gioca la carta di Buttiglione commissario Europeo. Sacrifica con irresponsabile disinvoltura la candidatura di Mario Monti, confermando la sua irriducibile "alterità" rispetto al senso dello Stato e delle istituzioni. Offre la poltrona di Bruxelles a un centrista, e regala il dicastero delle Politiche comunitarie a un altro centrista, provando così a "comprare" il consenso dell'ala ministeriale dell'Udc.

Regala un posto a tavola alla bassa cucina del vecchio e famelico doroteismo democristiano, per umiliare e sconfiggere l'idea della politica moderata che Follini ha provato a incarnare. Spera che, all'ufficio politico di questa mattina, il partito si ribelli al suo leader. Spera che il presidente della Camera Casini neghi ogni sponda al suo "delfino". Spera che Follini si dimetta davvero, e che nessuno dei suoi lo segua in questo suo gesto estremo e solitario. Ma quello del Cavaliere è un gesto altrettanto estremo.

È un piccolo "golpe", che il premier azzarda per salvare ciò che resta della Casa delle Libertà nata nel 2001. Se il golpe non gli riesce, perché Casini blinda Follini, l'Udc rifiuta l'offerta di Buttiglione a Bruxelles e conferma i suoi emendamenti alla devolution. In questa ipotesi, potrebbe essere la Lega ad uscire dalla maggioranza, e ad aprire la crisi. Se il golpe gli riesce, perché Casini abbandona Follini al suo destino, lascia comunque sul campo morti e feriti. Trasforma la sua "monarchia" in una sorta di "junta", un incunabolo di dolori e di rancori che non garantiscono alcuna tenuta di qui alla fine della legislatura, costellata di impegni che farebbero tremare i polsi anche al più forte e coeso dei governi.

Ma il Cavaliere è bruciato, forse più ancora che dalla politica, dall'economia. Il nuovo ministro del Tesoro, ieri, ha fatto giustizia degli irresponsabili ottimismi di questi mesi, tracciando un quadro disastroso della finanza pubblica. Il deficit tendenziale viaggia al 4,4% del Pil. Per riportarlo sotto il 3%, e per rispettare il Patto di stabilità, serve una Finanziaria di almeno 24 miliardi di euro. Quasi 50 mila miliardi di vecchie lire.

Tagli veri, non misure cosmetiche, non condoni, non cartolarizzazioni, non una tantum. Tagli di spese vive, risorse correnti come previdenza e sanità. Perché, come ha spiegato Siniscalco al premier e ai leader della Cdl, "nessun taglio è indolore". Questa meritoria "operazione-verità", compiuta dal successore di Giulio Tremonti, uccide i "sogni azzurri" che l'uomo di Arcore ha spacciato e continua a spacciare al Paese.

Non ci sono i soldi per fare la riforma fiscale "reaganiana" che piace al Cavaliere: due aliquote secche, sconti ai ceti più abbienti per stimolare consumi e ripresa, e autofinanziare con la maggior crescita la copertura degli sgravi. Si può concedere qualche modesta riduzione Irpef, ma spalmata almeno su due anni. E per riuscirci, non ci si può affidare alle virtù sciamaniche, indimostrate e indimostrabili, della curva di Laffer. Si devono fare "tagli non indolori". A partire dalle pensioni, per le quali non serve la finta riforma all'esame del Parlamento, che produce effetti solo nel 2008, e intanto lascia salire la "gobba" della spesa.

Quale governo può fare una manovra "lacrime e sangue" di questo genere? Quale maggioranza può sostenere lo scontro in Parlamento e il dissenso nelle piazze? A due anni dal nuovo voto politico nazionale, e a un anno da una nuova tornata di regionali, quale coalizione può reggere il costo di un "ciclo elettorale", che normalmente è stimato dagli economisti in mezzo punto di Pil, cioè in poco meno di 5 miliardi di euro?

È la strage delle illusioni, per il Cavaliere che vinse le elezioni con il motto "meno tasse per tutti". È il collasso di un modello economico che, in questi tre anni, non si è mai affermato. È il ritorno alla dura realtà dei numeri, che il premier, grazie al suo mago Tremonti, aveva cercato di nascondere con la magnifica irrealtà degli artifici contabili. Altro che "rivolteremo l'Italia come un calzino".

Oggi, come dimostrano le cifre snocciolate da Siniscalco durante il vertice di ieri, il governo di centrodestra ha portato l'Italia sull'orlo di un baratro simile quasi a quello che si aprì al Paese nel 1992. E oggi come allora, riprendendo il filo del ragionamento che il nuovo ministro ha fatto al Cavaliere, serve una "cura da cavallo".

Da concordare, pillola dopo pillola, con le parti sociali. Perché "senza il consenso dei sindacati - come ha detto ancora Siniscalco - io non posso fare niente: devo fare come fece Amato, che dodici anni fa se li chiamò uno per uno, per spiegargli l'emergenza e per fargli capire che, senza quella stangata, non ne saremmo usciti vivi".

Questa è il frutto amaro che il berlusconismo consegna al Pease, dopo tre anni di "regno". Altro che "governo di legislatura". Altro che "miracolo economico". È tutto in fumo, insieme a quel cerino che continua inutilmente a passare di mano in mano, mentre l'Italia subisce un lento, e quasi inarrestabile declino.

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