Da Il Messaggero del 21/07/2004

LE METAMORFOSI DEL CELODURISTA

Giura in divisa verde ma va a caccia d’accordi

Il programma: federalismo ultima chance. Gira senza calze alla Camera e tratta con Follini

di Mario Ajello

ROMA - Carlo Azeglio Ciampi, nella sala del Quirinale, gli guarda il petto. E vede disegnato un monocolore adosso al neo-ministro Roberto Calderoli. Camicia verde (chiara), cravatta verde (scura), pochette verde (con il ”Sole delle Alpi”): e così Calderoli, nel solenne giorno dell’investitura, riesce a superare in padanità perfino Umberto Bossi. Quando fu il senatur a giurare come titolare delle riforme nel 2001, il sacro colore della Lega e dell’orgoglio del popolo lumbard era rappresentato soltanto dal fazzoletto che spuntava dal taschino. Un solo punto verde per Bossi. Mentre Calderoli ne ha sfoggiati tre. Minuzie estetiche? No, l’overdose cromatica di Calderoli tradisce un imbarazzo politico. Quello di una Lega che accetta la nuova poltrona di governo con il cuore in gola e non sa se credere ancora oppure no (i militanti sul web propendono per l’opzione numero due) alla realizzabilità della devolution visto che «An e Udc sono traditori» e che proprio Ciampi, ieri, ha per l’ennesima volta osannato Cavour. Ma ora c’è Calderoli che si è caricato sulle spalle una missione quasi impossibile («Questo Paese deve diventare federalista», sono le sue prime parole dopo l’investitura), si è vestito di verde per rassicurare le truppe che lui è ancora un rivoluzionario e non un poltronista e - miracoli del Colle - nell’intento di raggiungere il difficile obiettivo delle riforme sceglie di colpo di cambiare stile oratorio.

Fino a prima del giuramento, Calderoli era (verbalmente) uno spietato, anche contro Ciampi. Ora invece pare quasi diventato un doroteo mentre scende dal Quirinale. «Le riforme? Io non penso solo a quella federale, sono importanti tutte. Gli alleati? Io credo nella collegialità». Infatti ha avuto subito colloqui con Follini, che fino all’altro giorno considerava un marpione Dc, e si è fatto rassicurare dal centrista D’Onofrio, suo collega neo-costituente della baita di Lorenzago, sul fatto che l’Udc il federalismo lo odia ma non in maniera insormontabile. Poi, a cerimonia dell’investitura conclusa, quasi si commuove il cattivo Calderoli scopertosi buonista: «La cosa più bella da quando sono ministro? Aver sentito Ciampi conversare con Bossi», dice a proposito della telefonata fra il presidente e il senatur.

E pensare che Calderoli, fino a poco prima di salire sul Colle, quasi non ci voleva andare. Tanto è vero che girava senza calze (come un vecchio combattente celtico o come un neo-francescano?) per la Camera dei deputati. Bonaiuti gli dice: «Vuoi andare da Ciampi conciato così?». E lui: «Mica è detto che ci vada». Infatti dopo l’investitura rivelerà: «Avevo qualche riserva sull’idea di andare a fare questo giuramento, e se non avessi visto che le cose sono un po’ più chiare, non ci sarei andato». Ora si sente più sereno, «io alla creazione del federalismo credo ancora» e comunque è un Calderoli apparentemente meno ispido di come lo abbiamo sempre conosciuto. Non che l’incontro con Ciampi sia stato caloroso. Ma normale, sì. Ed è già molto visto che il neo-ministro è sempre stato spietato contro il presidente della Repubblica. «Ciampi? Pensi alla salute», ha detto l’altro giorno il guerriero leghista e vice-presidente del Senato a proposito del fatto che il Capo dello Stato preferisce le idee di Cavour ai proclami di Pontida. Oppure, quando Ciampi ha rinviato alle Camere la legge Gasparri: «Ciampi è un girotondino. E io mi vanto di non averlo votato come Capo dello Stato». E quando il Colle, sulle questioni internazionali, invitò al dialogo, Calderoli: «Ma Ciampi lo sa che c’è stato l’11 settembre? Gli islamici sono bestie feroci, altro che dialogo. Vanno trattati con i metodi di Saddam». Che sono comunque più dolci di quelli che Calderoli, poco in linea con il garantismo ciampiano, prescrive per gli stupratori: «Vanno castrati, come ho fatto con il mio gatto. Per questa operazione ci vuole poco, bastano un paio di forbici e neanche sterilizzate».

Ecco, fra gli stucchi, i drappi, i velluti, le bandiere, le strette di mano e gli auguri di buon lavoro che hanno fatto da cornice al giuramento di ieri, l’enorme distanza che separa Ciampi da Calderoli è diventata per un attimo quasi invisibile. Quel che invece si è notato ad occhio nudo, in tutta la giornata, è un’altra delle metamorfosi che hanno investito il neo-ministro. Il suo volto di ieri non era il suo solito volto di sempre, furbo e gioviale. Era una faccia preoccupata. Come quella di chi - a dispetto dei proclami ottimistici: «Io ci credo, ci credo, ci credo alla devolution» - si trova nella scomoda posizione di un soldato che da solo, in nome del Dio Po, deve sbaragliare le armate nemiche e intanto costruire (da dentista qual è) una protesi federalista all’Italia che non vuole farsi aprire la bocca.

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