Da La Repubblica del 20/07/2004

I rischi del governo "etnico" iracheno

di Khaled Fouad Allam

Dopo il passaggio dei poteri all´autorità irachena, si sta confermando come la spaventosa escalation terroristica fosse già iscritta nelle modalità con cui la coalizione angloamericana ha concepito e formulato il suo approccio alla nuova identità irachena. Pochi mesi fa, sulle pagine di "Repubblica", l´ex ministro libanese della cultura Ghassan Salamé sottolineava un grave errore di partenza degli angloamericani, vale a dire la scelta di affermare un Iraq sciita, accanto a un Iraq sunnita, a un Iraq curdo, a un Iraq turkmeno etc. Egli metteva in guardia dai rischi di un comunitarismo attestato su scala nazionale, rischi aggravati dal fatto che l´Iraq non è il Libano, perché al contrario di quanto tuttora avviene in quel Paese, in Iraq le diverse comunità confessionali sono compenetrate per la pratica diffusa dei matrimoni misti.

In effetti, gli angloamericani hanno voluto formulare la nuova identità irachena sulla base di una visione comunitarista della politica, e dunque di un dosaggio etnico-confessionale delle componenti della nuova nazione irachena. È così che l´attuale governo provvisorio in Iraq è stato costruito con un 52% di sciti, un 20% di curdi, un 20% di arabi sunniti, un 4% di turkmeni e un 4% di cristiani di varie confessioni. Il Paese rischia ora di diventare ingovernabile perché, scomparsa l´ideologia nazionalista che nel regime di Saddam Hussein (pur se dittatoriale) funzionava da collante, sostituire ad essa un sistema di quote etnico-confessionali mette in contrapposizione i vari gruppi e rende fragile la società e la stessa identità irachena. Per di più, la forte prevalenza numerica degli sciiti, che superano il 60%, pone comunque in posizione subalterna gli altri gruppi; e si vede già che per alcuni di essi, come ad esempio i curdi che rappresentano il 20% della popolazione, l´esperienza federale già in atto da parecchi anni rappresenta una salvaguardia di fronte a un Paese che comunque, e in ciò giustizia è stata fatta, sarà a maggioranza sciita.

Il problema si pone soprattutto per la componente sunnita, che oggi è minoranza in Iraq, ma che rappresenta la maggioranza nel mondo musulmano. I terroristi di al Qaeda e di Al Zarkawi lo hanno capito molto bene; e intendono mandare via gli americani essenzialmente per recuperare la loro posizione storicamente egemonica in Iraq, ma anche per impedire agli sciiti da una parte di farsi promotori di una riforma dell´Islam, e dall´altra di fungere da supporto indiretto di un´altra potenza regionale, l´Iran. La situazione è dunque molto complicata e pericolosa; e le tensioni fra sunniti e sciiti sottendono persino la minaccia dell´arma nucleare, per affermare il dominio degli uni o degli altri sull´intera regione. Vi è il grave rischio che la frattura fra sunniti e sciiti finisca per coinvolgere tutto l´arco mediorientale.

Al Zarkawi nelle sue invettive del 23 giugno attacca i «servi degli americani» e minaccia il nuovo primo ministro Allawi proclamando: «Non avremo requie finché non ti avremo fatto abbeverare allo stesso calice da cui ha già bevuto Izzadine Salem». Lo stesso Zarkawi qualche mese fa faceva circolare dei proclami in cui affermava che durante le feste del calendario sciita avrebbe fatto sgozzare gli ayatollah che considera «servi d´Israele e dell´America».

Ciò che oggi si sta annunciando è una guerra lunga e molto pericolosa, anche perché l´Iraq presenta un´anomalia: gli sciiti sono maggioranza ma, a eccezione dell´Iran, gli altri paesi confinanti sono a maggioranza sunnita. Si pone dunque il problema di creare una nuova entità politica utilizzando l´identità sciita senza che essa diventi egemonica a ragione della sua maggioranza numerica; di costruire quindi un´identità politica irachena in grado di rendere giustizia agli sciiti emarginati durante tutta la storia dell´Islam, evitando però la sciitizzazione dell´Iraq a livello politico.

Forse i Patti Lateranensi del 1929 tra Italia e Vaticano potrebbero rappresentare il caso da cui prendere spunto per cercare di risolvere l´impasse iracheno coinvolgendo le istituzioni religiose sciite. Se si riconoscesse istituzionalmente che l´Iraq è la sede storica dello sciismo (nel paese vi sono quattro delle principali città sante degli sciiti, come Najaf e Kerbala) si potrebbe definire una delimitazione delle competenze fra una "chiesa" sciita e gli altri gruppi etnico-confessionali, oltre che tra essi e lo stato nazionale. Questo riconoscimento permetterebbe di far riemergere una coscienza nazionale irachena, una coscienza che trascenda le diverse appartenenze. Senza qualche forma di ingegneria costituzionale, in Iraq, il comunitarismo latente rischia di dilagare in tutto il mondo musulmano.

La questione della sovranità irachena non si pone solo in termini di trasferimento di poteri, ma soprattutto in termini di capacità degli iracheni di salvaguardare la loro coscienza nazionale, punto di partenza e arrivo delle stabilità e della sicurezza del Paese. Trasferire le competenze significa allora dare a ogni comunità, a ogni gruppo la possibilità di respingere i tentativi di radicalizzazione delle rispettive posizioni, tentativi che vorrebbero impedire l´emergere di un´autentica sovranità nazionale. È per questo che la comunità internazionale ha, se non dal punto di vista storico certo da quello etico, la responsabilità di fornire all´Iraq il maggiore aiuto possibile, ora che il terrorismo di Zarkawi tenta di minare i fondamenti della sovranità nazionale irachena.

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