Da La Repubblica del 19/07/2004

Viaggio in Corea del Nord tra miseria e contraddizioni nascoste dal regime comunista

Nel regno delle Tenebre dominato da fame e paura

Cibo razionato, biciclette proibite alle donne e nessun contatto con il mondo

di Marco Ansaldo

GOSEONG (Corea del Nord) - Buio e paura. Alle sei di pomeriggio la baia di Goseong che si affaccia sul Mar del Giappone vira già nell´ombra. Come al solito non c´è elettricità e la città è preda della nebbia. La abita del resto un popolo di fantasmi: magri, ossuti, lo sguardo diffidente. Sono donne, vecchi, bambini. Uomini stanchi.

A controllare i loro movimenti, sbucando ossessivamente dietro ogni viottolo, ogni sentiero, c´è un altro popolo di fantasmi. Ma in divisa. Anch´essi in evidente crisi alimentare, i soldati sembrano avere la giacca di due taglie più grandi, i calzoni tirati al massimo della cintura. Lo sguardo orgoglioso, comunque sempre duro e inflessibile. Soprattutto con lo straniero.

La Corea del Nord più profonda, lontana duecento chilometri dalla capitale Pyongyang, è qui. A Goseong, centro di contadini poco lontano dalla frontiera del 38esimo parallelo che la divide dal Sud, non circolano auto, né biciclette. Non ci sono computer, né Internet. Come in tutto il Paese. La tv è immobile su due canali, e la radio fissa su una frequenza soltanto. I telefoni cellulari, oggetti sconosciuti, vengono confiscati al confine.

Davvero la Corea comunista è il paese dell´ombra e della finzione. Un colossale "Truman Show" dove l´occidentale teme in ogni momento di essere al centro di un terribile equivoco. Sul lago interno che costeggia la città si scorge una costruzione mastodontica e inanimata come una scatola vuota.

Un albergo faraonico si spalanca alla vista dentro un parco da vegetazione amazzonica. Si viaggia su strade larghe e maestose dove rifulgono i ritratti del "Grande leader" e di suo figlio, il capo attuale, "il Caro leader" Kim Jong Il.

Ma a grattare sotto la scorza luminescente del centro posto ai piedi delle Kumgang San, le montagne Diamante, c´è una realtà fatta di stenti e fatica dove predomina il grigio. Grigie le strade, grigie le case. Villaggi recintati da una doppia mandata di filo spinato. Dura la vita per 22 milioni di anime, tanti sono gli abitanti del Nord, sottoposte persino al razionamento del riso, cibo pure così diffuso in Asia. Ma nel paese dove non ci sono biciclette, («perchè troppo care o perchè considerate una minaccia alla sicurezza, e comunque vietate alle donne in quanto oggetto sensuale», spiega uno dei rari nordcoreani che ci rivolge la parola), anche la distribuzione dell´alimento base della popolazione asiatica è scrupolosamente osservata. E secondo la legge non scritta che vede la monumentale e asettica Pyongyang preferita alle altre città, 300 grammi di riso vanno ogni giorno ai suoi 3 milioni di abitanti contro i 250 della periferia. Lo stesso dicasi per verdure e grano, essendo comunque carne e pesce lussi da giorni di festa.

«Qui la produzione agricola è regolata dal sistema pubblico di distribuzione - dice un esperto di aiuti alimentari - crediamo che i primi a servirsi siano nella nomenklatura del Partito dei lavoratori del popolo. Anche gli operai e le zone urbane godono di una certa priorità. Le aree rurali arrivano solo in fondo. Entità e qualità delle razioni variano a seconda del posto occupato nella gerarchia». Qualche Organizzazione non governativa ha messo nero su bianco i suoi sospetti. «É possibile che nella distribuzione si dia la precedenza ai grandi centri», denuncia in un rapporto Save the children.

Alla piaga della fame si aggiunge quella dell´ignoranza. I coreani del nord, isolati dal resto dell´universo poichè il regime non ammette visitatori all´interno e impedisce ai suoi cittadini viaggi all´estero, non conoscono il mondo se non per quel che passa il partito. E cioè un continuo, avvolgente, ossessivo lavaggio del cervello sulla bontà del sistema costruito sulla Juche, la filosofia autarchico-marxista inventata dai Kim, e le perversioni dell´organizzazione borghese imperante altrove.

I manifesti che si incontrano sulla strada sono eloquenti: colossali poster colorati dove il "Grande leader" o il "Caro leader" passeggiano in mezzo al grano indicando la via della Rivoluzione alle masse operai adoranti. L´aberrazione raggiunge livelli paradossali, e talvolta ridicoli. I nordcoreani non hanno mai sentito parlare di Elvis Presley, e men che meno di Elton John. Non sanno che l´uomo ha messo il piede sulla Luna: ammetterlo, per il regime che storce il naso a chi solo mostra di avere un visto d´ingresso Usa sul passaporto, significherebbe ammirare l´America.

I nordcoreani non hanno eroi. Nè attori del cinema nè artisti, scrittori o politici, personalità della tv o atleti. E nemmeno gente comune da additare a esempio, danzatrici o giornalisti, poliziotti o pompieri. Esiste solo Lui: Kim Il Sung. Al cui culto è subentrato, dopo la morte, l´8 luglio di dieci anni fa, Kim Jong Il. I bambini che al mattino sgambettano leggeri nelle loro belle divise bianche, calzoni blu e fazzoletto rosso al collo, apprendono a scuola i Suoi successi e il Suo amore per il popolo. I sudditi ascoltano alla stazione dei treni gli altoparlanti diffondere gli inni in Suo onore.

Così allo stadio, alla tv, sui giornali, nei quali non c´è confronto politico perchè oltre alle due piccole formazioni ufficialmente ammesse non esiste altra compagine se non quella istituzionale.

Nella società del sospetto, i controlli sono la regola. Ogni straniero è un potenziale agente della Cia che complotta per assassinare il leader.

Negli alberghi i telefoni sono costantemente sotto ascolto e gli specchi, avverte un consumato diplomatico bulgaro, potrebbero nascondere una telecamera. Il visitatore è affiancato da una guida che lo marcherà, ovviamente "per ragioni di sicurezza", fino al limite della stanza da letto. I contatti con la popolazione sono monitorati e scoraggiati, le foto devono riprendere solo immagini turistiche. Persino gli ambasciatori russi e cinesi devono dar conto dei loro spostamenti e degli incontri avvenuti.

Eppure, nell´asfittica realtà nordcoreana, qualcosa si sta muovendo. La crisi che attanaglia il paese sta costringendo Kim Jong Il, governante più accorto di quanto faccia credere l´immagine naive che lo circonda, a un cambio di rotta. Che parte dall´economia. Spuntano così, nei mercati rionali, i primi commercianti privati. E attorno ai banchi la gente si accalca per comprare cosmetici e utensili stranieri, prodotti ignoti ai negozi di stato.

Cartelloni pubblicitari appesi di fresco invitano all´acquisto di automobili di marca sudcoreana.

Anche gli stipendi si adeguano al nuovo corso. Un cameriere guadagna 2.200 won, circa 2 dollari al mese, mentre un funzionario di medio livello ne prende 2.700. Operai, contadini, maestri elementari arrivano a 1.700 won e le pensioni variano fra i 700 e i 1.500 won. Gli esempi incoraggianti non mancano. A Pukchang, 70 chilometri dalla capitale, Kim Chae Sun, giovane donna manager di un impianto di purificazione dell´acqua, ha modernizzato i propri macchinari. L´impulso dato alla struttura ha portato un miglioramento nelle entrate e Kim, da 80 won è passata prima a 3.000, e adesso a 3.500 won. In capo a un anno pensa di acquistare un televisore oppure un frigorifero.

Storie simili si moltiplicano ovunque. A Sinuiju, al confine con la Cina, è in progetto una enclave di capitalismo puro dove, in un esperimento stile Hong Kong, vigeranno iniziativa privata, libera circolazione di merci e capitali. E a Kaesong, poco oltre la frontiera demilitarizzata di Panmunjom che da 50 anni divide le due Coree, e´ già in costruzione un importante complesso industriale capace di dare lavoro a 800 mila cittadini del nord e 100 mila del sud. Un´idea rubata, quella dell´economia di mercato in salsa socialista, a Cina e Vietnam che l´hanno da tempo sperimentata con sufficiente energia. Non basterà a salvare il paese, ma ne impedirà il repentino collasso, bloccando possibili rivolte.

La spinta economica ha finito per aiutare il dialogo politico. Tre anni fa fu proprio l´Italia ad avviare, per conto dell´Unione europea, un nuovo approccio con il governo di Pyongyang. E da qualche tempo la Corea del Nord appare più attiva nell´arena internazionale. Anche con i "cugini ricchi" di Seul. Il risultato è che l´altro ieri, proprio ai piedi dei monti Diamante, in un´atmosfera di festa si sono finalmente incontrati alcuni dei famigliari che mai avevano avuto notizie di mogli e genitori dai tempi della guerra del 1950-?53. C´era una donna sudcoreana di 95 anni, Roh Bok Kum, immortalata mentre a pranzo imboccava il figlio di 73, nordcoreano, perso di vista da allora. «Sei proprio tu?», gli chiedeva fra le lacrime, incredula, mentre riempiva il cucchiaio di riso. Identico il caso di Joo Ae Ki, 95 anni, di Seul, con il figlio Lee Kang Baik, 71, residente a Pyongyang. Erano in 471 a varcare la frontiera. Solo in Corea del Sud sono oggi 100 mila le persone in lista d´attesa. Una lunga fila per abbracciare i parenti separati dell´altra parte della penisola. Parenti sfortunati. Da imboccare, e sfamare.

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