Da La Repubblica del 19/07/2004

MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Battaglia fra palestinesi "Via i corrotti di Arafat"

Un morto e dodici feriti negli scontri di Gaza

Il premier si è dimesso: per tornare vuole il controllo degli apparati di sicurezza
E´ rivolta dopo la nomina da parte del leader dell´Anp del nuovo capo dei servizi

di Alberto Stabile

GERUSALEMME - La finta riforma di Arafat ha finito col gettare benzina sul fuoco della rivolta. Al grido di «estirpiamo il cancro della corruzione» decine di miliziani delle Brigate Al Aqsa hanno assediato per ore la sede dei Servizi di sicurezza palestinesi a Rafah, nel sud della striscia di Gaza, ingaggiando violenti scontri a fuoco con gli agenti fedeli a Mussa Arafat, il cugino del leader palestinese nominato alla testa del Servizio di sicurezza generale, come parte delle promesse riforme. Alla fine della sparatoria, entrata in una sorta di tregua notturna non dichiarata, uno dei dimostranti è stato ucciso, a quanto pare nel tentativo di sfondare con un bulldozer lo sbarramento a difesa della palazzina e 12 persone sono rimaste ferite una delle quali in modo critico. Gli scontri sono poi proseguiti a Gaza city dove i dimostranti hanno incendiato alcune auto.

Prima che le opposte fazioni mettessero mai alle armi, migliaia di manifestanti erano scesi nelle strade di Rafat e del campo profughi di Nusseirat, ripetendo lo slogan della rivolta: riforme e ancora riforme. Nella notte tra sabato e domenica, un gruppo armato aveva preso d´assalto la sede dell´intelligence militare, a Khan Yunis, dandola alle fiamme.

La rivolta di Gaza ha ormai un obiettivo chiaro, l´inamovibile Arafat, e uno scopo evidente, costringere il raìs a un trasferimento sostanziale dei suoi poteri. Le mosse abbozzate dal Rais, sotto la pressione di una ribellione che deve aver sentito come uno schiaffo in piena faccia e delle dimissioni di Abu Ala, che rappresenta l´ultimo fragile collegamento politico con il mondo esterno hanno sortito l´effetto opposto a quello sperato. E la violenza s´è intensificata.

La nomina di Mussa Arafat a capo del Servizio di sicurezza generale è stata sentita come un inganno. Il cugino del raìs ha, infatti, fama di persona corrotta non meno che il generale Gazi Jabali al cui posto è stato insediato. Corrotta e ambigua, se è vera la voce popolare che lo accusa di aver consentito allo Shin Bet di uccidere l´"ingegnere", Yejeh Ayash, il primo terrorista di Hamas a inventare e sperimentare, a metà degli anni ?90 gli attenti sugli autobus israeliani col sistema delle cinture esplosive.

Oltre ad indicarlo come un amante sfacciato della bustarella, gli israeliani aggiungono che Mussa sarebbe un cliente privilegiato della rete di contrabbandieri che si servono dei tunnel di Rafah, al confine tra Gaza e l´Egitto, per far arrivare nella striscia armi, droga, merci varie. Per questo, appena s´è saputo della scelta di Arafat di promuoverlo, un portavoce delle Brigate Al Aqsa ha intimato: «La nomina di Mussa Arafat non passerà. Deve dimettersi subito».

L´interessato ha risposto con una scrollata di spalle. In mattinata ha partecipato al passaggio delle consegne dalle mani di Jabali alle sue. Poi ha dettato una dichiarazione in cui si dice pronto a combattere tutti i «potenziali nemici». A dimettersi non ci pensa neanche: «Prendo gli ordini da Sua eccellenza il Presidente Arafat - ha detto senza timore di sembrare ridondante - Colui che mi ha nominato è il solo che può chiedermi di abbandonare il mio compito».

L´opinione prevalente alla Muqata è che dietro la rivolta esplosa contro gli Arafat sia la mano di Mohammed Dahlan, l´ex capo del Servizio di sicurezza preventiva e ministro del governo Abu Mazen che non perde occasione per attaccare il raìs e il suo immobilismo. L´ultimo siluro contro Arafat, Dahlan lo ha lanciato la settimana scorsa: «O si cambia seriamente registro o diventiamo come la Somalia». Paragone all´apparenza inappropriato, visto che molti davanti agli avvenimenti di Gaza preferiscono parlare di "irachizzazione" dei Territori.

Ma che c´entra Dahlan con le brigate Al Aqsa? La ribellione contro Arafat appare di una gravità estrema proprio perché raccoglie i malumori di personalità e forze diverse, dai riformisti favorevoli al dialogo con Israele agli intransigenti che praticano il terrorismo, passando per le milizie Tanzim, tutti insieme e separatamente, ognuno coi suoi rancori e le sue frustrazioni nei confronti del «vecchio» raìs.

In questo quadro, il premier Abu Ala, che ieri ha avuto un estenuante faccia a faccia di quattro ore con Arafat, è condannato a fare la parte del vaso di coccio. Un primo ministro senza potere, che ogni uno e due minaccia di dimettersi ma è condannato a restare al suo posto. Anche nell´incontro di ieri Abu Ala ha osato riproporre le sue dimissioni. Arafat gli ha risposto che le considerava «inesistenti».

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