Da La Repubblica del 13/07/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/g/sezioni/economia/orelav/orelav/orelav.html
IL COMMENTO
Lavorare di più o meglio
di Luciano Gallino
Lavorate di più, così la produttività aumenta e con essa la competitività del paese. Peccato che i fondamentali, in simili inviti, siano fuori posto. Infatti l'espressione "produttività del lavoro" indica il valore aggiunto per ora effettivamente lavorata, o se si preferisce la quota di Pil pro capite prodotta da un lavoratore nella stessa unità di tempo. Non il volume lordo della produzione. Pertanto la richiesta di lavorare più ore alla settimana, come quella fatta dalla Siemens a un gruppo di dipendenti, non servirebbe per aumentare la produttività del lavoro.
A parità di condizioni, allungare l'orario di lavoro permette di aumentare la produzione, ma non la produttività oraria, che è quella che più conta. E' anzi possibile che la produttività diminuisca, dato che lavorare stanca, e quando si è stanchi i ritmi si allentano e i rischi di errori crescono.
Se si volesse davvero aumentare la produttività del lavoro, le strade da seguire sarebbero altre. La prima consiste nello sviluppare prodotti abbastanza ingegnosi da poter essere prodotti a basso costo e venduti a caro prezzo, perché i consumatori sono attratti dal loro valore d'uso. Dato che la differenza tra il costo di produzione e il prezzo di vendita forma il valore aggiunto, se il primo è basso e il secondo è alto il valore aggiunto schizza all'insù. Creando le premesse per allargare il mercato, nonché per elevare tanto i salari quanto i profitti. E' il caso di gran parte dell'elettronica di consumo, vedi il successo dei videotelefonini; ma l'equazione vale per qualsiasi prodotto.
Una seconda strada per accrescere la produttività del lavoro consiste nel dotare i lavoratori di mezzi di produzione più efficienti, ossia nell'investire in macchinari, impianti, tecnologie infotelematiche.
La terza strada è la più difficile ma anche la più promettente: migliorare l'organizzazione del lavoro. Dopo il tanto discorrere sulla morte del fordismo, sull'avvento della new economy, sullo sviluppo del capitalismo informazionale tutto fondato sui bit e poco o nulla su strutture materiali, l'organizzazione del lavoro nelle imprese poggia ancor sempre su mansioni parcellari e ripetitive, sulla separazione netta tra i pochi che pensano e i molti che eseguono, sulla impossibilità per i lavoratori di partecipare a decisioni cruciali per l'efficienza della produzione.
A fianco del lavoratore, per regolarne i ritmi, magari non c'è più il cronometrista, sostituito da un computer, ma alla persona che lavora si continua a chiedere la forza delle braccia più di quella della mente. Salvo poi scoprire che se questa non viene usata, magari di nascosto al caporeparto, il flusso produttivo si inceppa. In una catena di montaggio come in un call center o un McDonald's.
Se le imprese, stimolate eventualmente dal caso Siemens, chiedono ai sindacati di contribuire ad aumentare la produttività del lavoro, questi non dovrebbero rispondere con un no secco. Potrebbero perfino disporsi a contrattare. Ammesso però che la controparte accolga alcuni semplici preliminari: aumentare la produttività non vuol dire faticare di più nelle stesse condizioni di prima, bensì lavorare meglio; la produttività non aumenta senza innovazioni di prodotto e di processo; il maggior giacimento di produttività cui si possa pensare consiste in una organizzazione del lavoro che rispetti e utilizzi l'intelligenza delle persone più che le loro braccia. Con una nota finale: i guadagni derivanti dalla produttività accresciuta andrebbero distribuiti più equamente tra retribuzioni e profitti, diversamente da quello che è avvenuto da vent'anni a questa parte.
A parità di condizioni, allungare l'orario di lavoro permette di aumentare la produzione, ma non la produttività oraria, che è quella che più conta. E' anzi possibile che la produttività diminuisca, dato che lavorare stanca, e quando si è stanchi i ritmi si allentano e i rischi di errori crescono.
Se si volesse davvero aumentare la produttività del lavoro, le strade da seguire sarebbero altre. La prima consiste nello sviluppare prodotti abbastanza ingegnosi da poter essere prodotti a basso costo e venduti a caro prezzo, perché i consumatori sono attratti dal loro valore d'uso. Dato che la differenza tra il costo di produzione e il prezzo di vendita forma il valore aggiunto, se il primo è basso e il secondo è alto il valore aggiunto schizza all'insù. Creando le premesse per allargare il mercato, nonché per elevare tanto i salari quanto i profitti. E' il caso di gran parte dell'elettronica di consumo, vedi il successo dei videotelefonini; ma l'equazione vale per qualsiasi prodotto.
Una seconda strada per accrescere la produttività del lavoro consiste nel dotare i lavoratori di mezzi di produzione più efficienti, ossia nell'investire in macchinari, impianti, tecnologie infotelematiche.
La terza strada è la più difficile ma anche la più promettente: migliorare l'organizzazione del lavoro. Dopo il tanto discorrere sulla morte del fordismo, sull'avvento della new economy, sullo sviluppo del capitalismo informazionale tutto fondato sui bit e poco o nulla su strutture materiali, l'organizzazione del lavoro nelle imprese poggia ancor sempre su mansioni parcellari e ripetitive, sulla separazione netta tra i pochi che pensano e i molti che eseguono, sulla impossibilità per i lavoratori di partecipare a decisioni cruciali per l'efficienza della produzione.
A fianco del lavoratore, per regolarne i ritmi, magari non c'è più il cronometrista, sostituito da un computer, ma alla persona che lavora si continua a chiedere la forza delle braccia più di quella della mente. Salvo poi scoprire che se questa non viene usata, magari di nascosto al caporeparto, il flusso produttivo si inceppa. In una catena di montaggio come in un call center o un McDonald's.
Se le imprese, stimolate eventualmente dal caso Siemens, chiedono ai sindacati di contribuire ad aumentare la produttività del lavoro, questi non dovrebbero rispondere con un no secco. Potrebbero perfino disporsi a contrattare. Ammesso però che la controparte accolga alcuni semplici preliminari: aumentare la produttività non vuol dire faticare di più nelle stesse condizioni di prima, bensì lavorare meglio; la produttività non aumenta senza innovazioni di prodotto e di processo; il maggior giacimento di produttività cui si possa pensare consiste in una organizzazione del lavoro che rispetti e utilizzi l'intelligenza delle persone più che le loro braccia. Con una nota finale: i guadagni derivanti dalla produttività accresciuta andrebbero distribuiti più equamente tra retribuzioni e profitti, diversamente da quello che è avvenuto da vent'anni a questa parte.
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