Da La Repubblica del 12/07/2004

Quale destra senza il senatùr

di Giorgio Bocca

Dio toglie la ragione a chi vuol perdere. Non c´è altra spiegazione possibile. Ora è chiaro, e Tremonti lo ha pubblicamente dichiarato, che la tenuta di un governo che doveva durare anche nella prossima legislatura e che aveva come disegno di «rivoltare l´Italia come un calzino» era affidata al senatore Bossi. Che il suo cattivo destino ha praticamente tolto dalla vita politica ma che, finché c´è stato dentro, ha collezionato ricatti, sparate demagogiche, diffamazione della cultura italiana, lombarda in particolare, sostituita da gigantesche e mediocri fantasie come l´eredità celtica, l´ampolla con l´acqua sacra del Po e i giuramenti di Pontida. La prima volta che lo intervistai nel ?92 mi disse: «Il mio vero lavoro era quello di elettromedico».

Bossi dovette cogliere il mio stupore e allora aggiunse: «Ma sì, non lo sai? Io se vuoi ti fabbrico un laser». E poi: «Ero nell´équipe del professor Zuffi di Pavia, quello dei trapianti del cuore, studiavamo il cuore alle alte temperature».

Parlava sul serio, era convinto che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stato creduto. Per nostra disdetta, il berlusconismo gli ha creduto nel suo modo opportunista e avventurista. Per ingraziarselo l´onnipotente ministro dell´Economia Giulio Tremonti è arrivato al servilismo plebeo: «Io preferisco la polenta al cuscus».

La seconda scelta incomprensibile, o comprensibile solo nell´irresponsabilità, è stata quella di affidare l´economia italiana a Tremonti, uno di cui Cossiga poteva dire «è un grande esperto di paradisi fiscali». L´avventura è continuata con la cinica defenestrazione del ministro che veniva elogiato dal capo del governo nell´atto della sua esecuzione e dichiarare, di ritorno dall´Ecofin, che i nostri conti «sono in perfetta regola».

Il male fatto allo Stato da questa avventura è di due tipi. Uno è quello contabile che prima o poi dovrà pure venir fuori in tutta la sua grandezza. Il secondo, più grave, è quello della spaccatura sempre più profonda fra governo e cittadini, fra classe politica e cittadini. Gli italiani, la pubblica opinione, sono stati tenuti all´oscuro della «finanza creativa», non hanno capito nulla. E come avrebbero potuto capire qualcosa dal torbido fiume di falsità, di trucchi che la stampa di regime gli serviva quotidianamente?

L´opinione pubblica sa che il governo è con l´acqua alla gola, sa che per porre riparo ai disastri della finanza «creativa» ci vorranno decine di anni, sa che il patto con gli italiani del Cavalier Berlusconi è un cumulo di macerie ma il gioco d´azzardo continua: che cosa vogliono gli oppositori interni di Berlusconi? Gli ex fascisti di Alleanza nazionale e gli ex democristiani dell´Udc? Par di capire, fra mille manfrine e balletti, che vogliono prepararsi per il dopo Berlusconi, per la gestione del moderatismo italiano, per ricompattare i partiti che si sono comunque sfilacciati in questa politica senza guida e senza senso. Ma, al momento capire, le loro mosse, prevedere le loro iniziative appare quasi impossibile: si sta fra un ritorno al passato che è fallito miseramente e nuove alleanze, nuove derive in gran parte morte in partenza.

Per molti aspetti lo smarrimento generale ricorda gli ultimi giorni di Salò: arraffare il poco che resta, cercare una via di fuga, celebrare le ultime retoriche. Ma dove erano quando il governo di cui facevano parte collezionava errori su errori?

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