Da Corriere della Sera del 11/07/2004

La crisi di una Seconda Repubblica mai nata

Il passato che non passa

di Stefano Folli

Molti si domandano se l’Italia non abbia cominciato un viaggio a ritroso nel tempo. Parliamo dell’Italia della politica, dei partiti affezionati ai loro riti, alle liturgie estenuate; l’Italia delle verifiche infinite, delle maggioranze che non governano e delle opposizioni che assistono un po’ inerti. Ci si chiede se sia davvero questa la Seconda Repubblica annunciata come una svolta storica. Forse c’è stato un equivoco che attende ancora d’essere dissipato. L’equivoco di una Seconda Repubblica che si è presentata nel ’94, con la vittoria del primo Berlusconi, come una novità in grado di archiviare alcuni decenni di storia e di rinnovare lo Stato. Non è andata proprio così, perché il nuovo assetto si è rivelato inadeguato, sia nella versione di centrodestra sia in quella di centrosinistra. E’ stato un decennio che si è caricato via via di anomalie irrisolte, compreso quel conflitto di interessi che nessuno, neanche a sinistra, ha saputo o voluto risolvere nel tempo. Ma c’è di peggio: le speranze o le illusioni del rinnovamento si sono spente in una sorprendente assenza di progetti e di visioni. Di fatto il viaggio verso il passato, il ritorno alla vecchia Repubblica dei partiti, non è realmente cominciato, ma solo perché non siamo mai entrati nel futuro. Come consolazione è un po’ debole, ma spiega qualcosa di quel che sta accadendo in queste settimane, che si svolgono nel segno dell’impotenza soprattutto perché non è più possibile affidarsi all’arte del rinvio. Secondo un antico costume molto poco in sintonia con l’ipotetica Seconda Repubblica.

Rinviare significa rinunciare all’esercizio di una leadership. Che non si afferma con gli editti, ma si impone giorno per giorno, legando insieme le anime della coalizione e ricavandone sintesi positive. Ora, non c’è dubbio che la Casa delle Libertà sia stata una coalizione complessa, difficile da amalgamare: la Lega, Forza Italia, An, i centristi...

La scommessa consisteva appunto nel dare coesione a questi mondi diversi, il nuovo e il meno nuovo, nella prospettiva di creare una classe dirigente. Invece tutto si è risolto nella figura carismatica di Berlusconi, il cui primato si fondava sull’ipotesi di un suo successo permanente e solo su quella. Successo elettorale, innanzitutto. Alla lunga, un rischio troppo alto. Del resto, Berlusconi non si sforzava di dissimulare il suo fastidio verso due dei tre soci dell’alleanza, mentre non celava affatto la sua predilezione per la Lega.

In conclusione, la Seconda Repubblica non può morire perché non è mai veramente nata. E i tre tavoli intorno ai quali si affollano politici ed esperti, senza che sia chiaro chi decide che cosa, sono emblematici del paradosso, nonché della condizione cui porta un’incertezza di leadership prolungata nel tempo: alla rottura del tessuto connettivo dell’alleanza. Ciò non significa che siamo prossimi a seppellire il bipolarismo. Difficilmente l’opinione pubblica rinuncerà a quello che è pur sempre uno dei pochi risultati politici del decennio. Farebbe un grave errore chi vagheggiasse oggi la chimera del «grande centro», una sorta di restaurazione come nella Francia borbonica dopo Waterloo.

Ma non è il caso di Casini e Follini, da cui pochi si aspettavano tanta determinazione. Viceversa, il vero problema consiste nel sottrarre i due poli, sempre più immagine speculare uno dell’altro, alla deriva del radicalismo un po’ estremista. Deriva che coinvolge, in forme diverse, sia Berlusconi sia Prodi. Verrebbe da dire: basta giochi e giochini sterili, pensate al Paese. In realtà, assistiamo alle convulsioni di una stagione politica che si sta esaurendo. Oggi o tra un paio di mesi. Ma non è ancora la crisi del bipolarismo, se i personaggi non faranno troppi errori.

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