Da La Repubblica del 09/07/2004

Promesse elettorali

di Massimo Riva

Dopo l´Unione europea, dopo la Banca centrale di Francoforte, dopo la tegola di Standard & Poor´s sui tassi d´interesse, ieri anche la Confindustria e soprattutto il governatore della Banca d´Italia hanno provato a far ragionare Silvio Berlusconi sul nodo del taglio delle tasse. In particolare, pur con il freddo linguaggio tipico di Via Nazionale, Antonio Fazio è stato chiarissimo: «La riduzione del carico fiscale non deve portare a un rialzo del disavanzo». Perché, ha soggiunto, «l´effetto espansivo connesso al maggior reddito disponibile verrebbe superato da quello negativo derivante da un aumento del debito».

Concetti elementari e risaputi che acquistano, tuttavia, ancora maggiore consistenza nel già pericolante frangente attuale dei conti pubblici che il governatore ha riassunto, a faccia a faccia con il premier, in poche cifre, tutte negative. Nel primo semestre dell´anno il fabbisogno ha superato di oltre 12 miliardi (un punto di Pil) quello del corrispondente periodo 2003.

L´indebitamento netto sta volando al 3,5 per cento del Pil e non è affatto detto che la stangata all´ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi sia sufficiente a riportarlo sotto il fatidico tetto del 3 per cento. Per la duplice ragione, secondo Fazio, che alcune entrate previste appaiono quanto mai incerte (vedi il condono edilizio) e che occorrerà sorvegliare la reale efficacia dei provvedimenti in gestazione con la manovra correttiva.

Insomma, il mondo intero si sta affannando a spiegare a Berlusconi che, dopo tre anni di suo governo, la coperta rimane corta. Anzi, è diventata cortissima perché anche la provvidenziale eredità di un surplus primario lasciato da Ciampi sopra il 5 per cento è stata allegramente (e assai poco responsabilmente) dilapidata di oltre la metà. Tuttavia, il presidente del Consiglio non vuol sentire ragioni e mostra di voler tirare diritto per la sua strada.

Ieri, appena ascoltati i richiami di Fazio, ha tenuto ad esprimere il suo apprezzamento per la persona del governatore - con una riverenza formale intesa a chiudere con le polemiche tremontiane del recente passato - ma sul taglio delle tasse non si è spostato che di un millimetro, annunciando che alle due aliquote promesse ne aggiungerà probabilmente una terza per i redditi più elevati, tanto per dare un contentino ad alcuni rompiscatole della sua maggioranza.

Così caparbia determinazione ha di sicuro una spiegazione politica.

Berlusconi è consapevole di quanto peso abbia avuto l´impegno a ridurre le tasse nel suo successo elettorale del 2001. Ed oggi sa che, mancando a questa promessa, darebbe un colpo mortale alle sue già traballanti speranze di rivincere nelle urne prossime venture. Addirittura non ignora che, in base al famoso contratto con gli italiani, non dovrebbe a quel punto neppure ripresentare la sua candidatura. Solo che le ragioni della politica sono una cosa e quelle dell´economia, sovente, un´altra: farle coincidere non è impresa facile. Per coniugarle, nel caso specifico, occorre che i mancati introiti dello Stato per minori tasse siano puntualmente bilanciati da pari riduzioni permanenti nella spesa pubblica.

Con la sua consueta abilità di giocoliere delle parole, il Cavaliere ha dribblato questa obiezione un paio di giorni fa sostenendo che solo gli sprovveduti ignorano che a meno tasse devono corrispondere meno spese. Ma proprio questo è il buco nero della sua campagna fiscale. Infatti, ormai non passa giorno senza che egli insista nel dire che ridurrà le aliquote Irpef.

Quanto al taglio delle spese pubbliche, mai nemmeno una parola o la più vaga delle indicazioni. Che l´Unione europea, la Banca centrale di Francoforte, Standard & Poor´s, la Confindustria e il governatore di Bankitalia siano alquanto perplessi e preoccupati non suona poi così strano.

Ma ancora di più, a tal punto, hanno diritto di esserlo i contribuenti italiani. Intanto, questi ultimi oggi saranno posti dinanzi a una stangata da 7,5 miliardi che giunge al termine di un triennio nel quale i cittadini erano stati cullati dalle promesse di un Bengodi dietro l´angolo e dalla reiterata assicurazione - l´ultima di Tremonti risale al giorno delle sue dimissioni - che i conti pubblici erano in linea: così in linea, appunto, che oggi il Consiglio dei ministri è costretto a una manovra-bis dopo anni che queste sorprese erano uscite dall´orizzonte della politica domestica.

E adesso, in questo scenario periclitante, dovrebbe inserirsi un´altra legnata nell´ordine di una buona dozzina di miliardi, quanti costerebbe il fatidico taglio delle aliquote Irpef. Solo che Berlusconi di questo rovescio della medaglia non parla, ammette a denti stretti che ci dovrà essere, ma in pratica fa finta di nulla. Capisco che non sia facile dire che pagare meno tasse significherà rinunciare a un ospedale, a una scuola, a un ponte, a una strada, a una ferrovia, a un ufficio di polizia, nonché a stipendi e pensioni della pubblica amministrazione. Ma questa è l´elementare aritmetica dei conti pubblici, alla quale si può sfuggire soltanto creando le premesse di nuove e più pesanti tasse future. Domanda: ha senso e quale senso che il paese sia esposto a questi rischi solo perché il Cavaliere deve salvare la faccia dopo le sue irresponsabili e demagogiche promesse?

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