Da Corriere della Sera del 28/06/2004

La Lega sotto attacco. Rischi di crisi strisciante

di Massimo Franco

Silvio Berlusconi ha messo le mani avanti prima dei risultati: comunque vada, il governo rimane; e bisognerà fare il rimpasto in una manciata di giorni. E’ stata una precisazione apparentemente inutile: era comunque improbabile che una sconfitta del centrodestra nei ballottaggi potesse avere un effetto terremoto. Ma la difesa preventiva del presidente del Consiglio appare meno inspiegabile se si incornicia nelle diffidenze all’interno della maggioranza. La sua fretta di chiudere è figlia dell’incertezza sulle intenzioni degli alleati. Nasce dal timore fondato che l’insuccesso accentui le recriminazioni di An e Udc contro FI e Lega. Insomma, è una specie di esorcismo. «Non intendo passare attraverso una crisi di governo», ha ribadito il premier da Istanbul, dove partecipava al vertice della Nato. «Penso piuttosto a delle new entry », eufemismo anglofilo per non usare la parola rimpasto. Sembra un avvertimento agli alleati perché non tirino troppo la corda; ma anche un indizio di nervosismo. Berlusconi sa che soprattutto la vittoria del centrosinistra alla Provincia di Milano, dice che un’altra piccola grande scheggia si è staccata dal monolite «azzurro». Si tratta di una sconfitta-simbolo, della quale perfino il coordinatore di FI, Sandro Bondi, aveva ammesso di temere i contraccolpi.

Promette di diventare la conferma di una crisi strisciante: non quella del governo ma l’altra, in prospettiva più destabilizzante, che lambisce il carisma presidenziale. Il responso di Milano sancisce la fine del monopolio berlusconiano nelle istituzioni milanesi e lombarde. Fa lievitare una polemica aspra tra An e una Lega accusata di slealtà e tuttora orfana della lucidità di Umberto Bossi. E dà l’impressione, questa sì nazionale, di un Paese in bilico, ma con la maggioranza in netto affanno.

«Sono ottimista e entro la settimana penso di chiudere», ha fatto sapere il presidente del Consiglio. Ma chissà se è così scontato, adesso. Da oggi, Berlusconi risulta più debole di due settimane fa. Lo è non solo di fronte al Paese, ma ai propri alleati. L’appello ad andare alle urne per fermare la sinistra non ha funziona to. L’asse con i lumbard si è mosso tardi e male a Milano; e si è spezzato a Bergamo, dove il centrodestra ha prevalso contro una Lega polemicamente alleata con l’Ulivo. I risultati danno indirettamente ragione agli alleati del premier, perplessi davanti ai suoi toni minimalisti dopo le Europee del 12 e 13 giugno; e convinti che non basti il generico «rafforzamento della squadra» per fermare una continua erosione di consensi.

La novità è che la delusione dell’elettorato ossida una delle casseforti politiche del berlusconismo. Mostra la ruggine sull’asse FI-Lega, che per tre anni ha alimentato il mito del «vento del Nord». L’Udc già ironizza sui «risultati dell’asse Bossi-Tremonti», puntando il dito sul ministro berlusconiano dell’Economia. E An preannuncia «qualche riflesso sugli equilibri della Cdl». Può darsi che abbia prevalso il richiamo del sole, oltre all’idea che i ballottaggi non contassero. Ma se pure è così, Berlusconi la prossima volta dovrà convincere i propri tradizionali o ex elettori, che vale la pena andare alle urne. Si sa, le elezioni non le vincono le opposizioni: le perdono i governi.

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