Da Corriere della Sera del 24/06/2004

Ritirata la risoluzione per evitare la giurisdizione della Corte penale internazionale: non sarebbe passata al Consiglio di Sicurezza

L’America cede sull’immunità Onu ai suoi soldati

La Casa Bianca rende pubblici nuovi documenti sulle torture: Bush scagionato, sotto accusa Rumsfeld e Ashcroft

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Gli Stati Uniti ritirano la risoluzione per l’immunità dei loro soldati in Afghanistan e in Iraq dalla giurisdizione del Tribunale penale internazionale. Lo annuncia l'incaricato d'affari all'Onu James Cunningham, ammettendo di non avere il consenso del Consiglio di Sicurezza, e di volere evitare «un lungo e acceso dibattito».

A far passare gli Stati Uniti in minoranza all’interno del Consiglio Onu è stato soprattutto lo scandalo delle torture, che ha allontanato da Washington molti dei Paesi membri. La vicenda ieri si è arricchita di un nuovo capitolo: l'amministrazione Bush ha reso pubbliche 258 pagine di documenti «top secret» sui metodi degli interrogatori dei prigionieri, scagionando il presidente ma compromettendo ulteriormente i ministri della Difesa Donald Rumsfeld e della Giustizia John Ashcroft.

Il ritiro della risoluzione non significa che le truppe Usa potranno essere incriminate dal Tribunale: i governi afghano e iracheno probabilmente concederanno loro l’immunità. La decisione pone però all'amministrazione il problema se lasciare che i militari partecipino o meno a future missioni di pace.

L’ostilità dei membri del Consiglio di Sicurezza è il primo prezzo che l'amministrazione Bush paga per lo scandalo torture. Nel 2002 e 2003, aveva ottenuto l'immunità generale, in tutto il mondo, per un anno. Ieri ha cercato un accordo, limitando l'immunità ad Afghanistan e Iraq, ma non lo ha trovato, anche in seguito alla incrollabile opposizione del segretario dell'Onu Kofi Annan. Il Tribunale, istituito a Roma nel ’98, è stato accettato da 94 Paesi, ma sebbene l'ex presidente Clinton si fosse impegnato a ratificarlo, Bush lo aveva disconosciuto.

La pubblicazione delle 258 pagine, sinora nascoste anche ai più stretti alleati, è stata decisa per placare l’opinione pubblica americana. I documenti dimostrano che, contro il parere del Dipartimento di Stato, Bush accettò la tesi del Pentagono e del ministero della Giustizia che in base alla Costituzione Usa poteva ignorare la Convenzione di Ginevra sulla tutela dei prigionieri. In un decreto del 7 febbraio del 2002, il presidente ammise che il terrorismo richiedeva «di pensare alle leggi in modo nuovo», ma precisò di «non volere esercitare per ora» i suoi poteri e ordinò che i detenuti fossero trattati «umanamente» e nel rispetto della Convenzione «in misura appropriata e coerente con le necessità militari». Interpellato dai giornalisti, Bush ha dichiarato: «Non condono le torture, non le ho mai ordinate e non le ordinerò mai. Sono estranee a noi».

I documenti, tuttavia, dimostrano anche che Ashcroft e Rumsfeld usarono «le necessità militari» per giustificare e adottare vari sistemi di torture. Quando si sospettò che uno dei prigionieri più resistenti di Guantanamo, Mohamed Al Khatani, fosse coinvolto nelle stragi del 2001, Rumsfeld autorizzò il ricorso ai cani, al denudamento, ai cappucci, alla privazione del sonno e del cibo dei detenuti e così via. In un memorandum del 27 novembre 2001, il ministro mise in dubbio che tenere i prigionieri in piedi per 4 ore fosse sufficiente: «Io ci sto 8-10 ore al giorno». Quattro mesi dopo, su pressione di alcuni generali e consiglieri legali, Rumsfeld vietò i cani e i cappucci che continuarono però a venire impiegati in Afghanistan e in Iraq.

La pubblicazione dei documenti è probabile che coinvolga la catena di comando in Iraq, dai capitani ai colonnelli all'ex capo di Guantanamo, il generale Geoffrey Miller, sostenitore delle maniere forti, al comandante delle operazioni il generale Ricardo Sanchez.

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