Da Corriere della Sera del 12/05/2004

«Ecco il vero volto dei nemici della libertà»

La reazione della Casa Bianca all’esecuzione. Il generale Taguba al Senato: «Non fu il Pentagono a ordinare le torture»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - La decapitazione dell'ostaggio Nick Berg, una feroce vendetta delle torture dei prigionieri iracheni, sconvolge l'America scossa dalla deposizione al Senato del generale Antonio Taguba, l'autore del rapporto che denunciò lo scandalo a marzo. Di colpo, al suo sdegno per le sevizie dei detenuti si assomma l'incubo della escalation della guerra e delle atrocità contro gli americani in Iraq. La Casa Bianca denuncia l'assassinio: «Dimostra - dichiara il portavoce Scott McClellan promettendo che si farà giustizia - la vera natura dei nemici della libertà, gente che non ha rispetto per la vita di uomini donne e bambini innocenti». Ma il padre del morto critica il conflitto, e svela che il figlio doveva rimpatriare a fine marzo: «Fu detenuto dalla polizia e i nostri militari per accertamenti per 20 giorni se lo avessero rilasciato subito sarebbe ancora vivo».

E' un evento che minaccia di spaccare l'America in due, i pacifisti da una parte, i fautori della linea dura dall’altra, e rischia di accentuare le polemiche sulle torture e le difficoltà di Bush, in calo nei sondaggi. Il generale Taguba testimonia prima della tragica notizia. Attribuisce la responsabilità dello scandalo a «leader negligenti, dal comando di brigata in giù; alla mancanza di addestramento dei soldati; all’assenza di supervisione».

Spiega che la polizia militare delle carceri di Abu Ghraib «considerò l'intelligence l'autorità competente» e che probabilmente ne seguì la istruzione di «ammorbidire» i detenuti prima degli interrogatori. Attacca l'ex comandante della prigione la generalessa della riserva Janis Karpinski, e suggerisce che la polizia militare e l’intelligence militare - con la Cia - siano tenute separate per evitare futuri abusi.

Una denuncia bruciante. Ma Taguba rifiuta di esprimere una opinione sul generale Ricardo Sanchez, comandante delle operazioni in Iraq, che il 19 novembre assegnò il controllo delle carceri all’intelligence militare, e sul nuovo capo di Abu Ghraib, il generale Geoffrey Miller, che ad agosto caldeggiò l'adozione del «Modello Guantanamo», la discussa prigione a Cuba da lui gestita.

Dichiara anzi di non aver trovato «prove che esista una politica di abusi o che siano stati dati ordini scritti in tale senso». Alcuni soldati e civili, termina - agenti privati e la Cia - «collaborarono volontariamente con l'intelligence al più basso livello».

Come presago del dramma di Berg, il senatore repubblicano ribelle John McCain lamenta che lo scandalo avrà «effetti gravissimi nel mondo dell'Islam».

La testimonianza di Taguba conforta il Pentagono perché rende chiaro che gli abusi non furono da esso preordinati. Ma non lo esonera perché dimostra che avrebbero potuto e dovuto essere prevenuti. E infatti i senatori di entrambi i partiti non nascondono la loro ira. Quello democratico Carl Levin insiste che i vertici militari e il ministro Donald Rumsfeld devono rendere conto dello scandalo. E McCain esce dall'aula indignato quando il collega repubblicano James Inhofe protesta che «si fa tanto rumore per nulla» perché i detenuti «non sono gente che ha violato il codice stradale ma che ha sangue americano sulle mani». Più tardi tuttavia i senatori unanimi deprecano con veemenza la decapitazione di Berg. Il democratico Joe Lieberman, l'ex candidato alla Presidenza, chiede «metodi forti» per il ripristino della sicurezza e dell'ordine in Iraq.

Mentre Taguba depone, al Pentagono Rumsfeld riscuote l’ovazione del personale da lui radunato. Un sondaggio della Cnn, la Gallup e Usa Today ne illustra i motivi. Il 64 per cento degli americani pensa che le torture siano episodi isolati e che il ministro non debba dimettersi. E dal 55 al 65 per cento crede che i soldati abbiano agito per contro proprio, e la colpa sia loro e degli immediati superiori. Paradossalmente, più di Rumsfeld è il presidente Bush a soffrire dello scandalo. Il 58 per cento contro il 41 per cento degli elettori disapprova della sua politica in Iraq e il 54 per cento contro il 44 per cento ritiene che la guerra sia stata uno sbaglio - un capovolgimento rispetto a due settimane fa - anche se solo il 47 per cento è per il disimpegno militare. La popolarità di Bush, inoltre, cala al minimo, il 46 per cento. La Casa Bianca si chiede quali conseguenze avrà la decapitazione di Berg.

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