Da La Repubblica del 19/06/2004

Anticipazioni/ Esce il "Diario in Iraq" dello scrittore peruviano

Una guerra necessaria

Ma prendere le armi contro un regime è legittimo solo in casi eccezionali e non può certo diventare una norma
La dittatura di Saddam Hussein, una delle più furibonde e corrotte della storia moderna, giustificava l´intervento

di Mario Vargas Llosa

Continuo a credere che sia stato un gravissimo errore dei governi della coalizione addurre come giustificazione per l´intervento militare l´esistenza di armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein e il legame di costui con Al-Qaeda e con gli autori della strage dell´11 settembre, su cui non vi erano prove definitive e che a questo punto sembrano essere stati piú pretesti che ragioni decisive.

Perché la distruzione della dittatura di Saddam Hussein, una delle piú crudeli, corrotte e furibonde della storia moderna, era una ragione di per sé sufficiente a giustificare l´intervento. Come sarebbe stata giustificata un´azione preventiva dei paesi democratici contro Hitler e il suo regime prima che il nazismo facesse precipitare il mondo nell´Apocalisse della seconda guerra mondiale.

«Saddam Hussein sarebbe dovuto cadere, ma a seguito dell´azione interna degli stessi iracheni», ha detto il presidente francese Chirac, con una frase che rivela una profonda mancanza di conoscenza del regime presieduto da Saddam Hussein. Come quello di Hitler, come quello di Stalin - i suoi modelli - , il dittatore iracheno aveva espropriato la sovranità di tutto il suo popolo e mediante l´esercizio di un terrore vertiginoso aveva colonizzato gli animi degli iracheni fino ad annientare in una prospettiva piú o meno prossima ogni possibilità realista di una sollevazione efficace contro il regime che potesse aprire le porte a un processo di democratizzazione. Sarebbe stato possibile, senza dubbio, un golpe di palazzo, che avrebbe sostituito il tiranno con un altro tiranno. O, forse, un´azione insurrezionale di taglio fondamentalista che avrebbe insediato a Baghdad un regime gemello di quello degli ayatollah iraniani. Era dunque questo il cammino della libertà per il decimato popolo dell´Iraq?

Criticabile, senza dubbio, per il carattere unilaterale e perché privo del sostegno delle Nazioni Unite, l´intervento militare della coalizione ha aperto, tuttavia, per la prima volta nella storia dell´Iraq, la possibilità che questo paese spezzi il cerchio vizioso di autoritarismo e totalitarismo in cui si è mosso da quando la Gran Bretagna gli concesse l´indipendenza. I lettori di questo reportage potranno verificare come, malgrado tutte le sofferenze che l´intervento militare ha portato agli iracheni, queste siano ancora minime se paragonate a quelle che hanno sofferto a causa della politica di genocidio, di abiezione e di repressione sistematica del regime del Baath. Non sono io a dirlo: lo dice il sessantasette per cento degli abitanti di Baghdad interpellati in una recente indagine Gallup, di cui riferisce The New York Times del 24 settembre. Quasi due terzi degli iracheni, quindi, ammettono che, nonostante la mancanza d´acqua e di elettricità, l´insicurezza nella città e la gravissima crisi economica,
stanno meglio che sotto la sferza di Saddam Hussein. Adesso, almeno, nonostante le bombe dei terroristi, vivono una speranza e l´inizio di una vera liberazione.

Senza dubbio è rischioso stabilire come norma il diritto delle nazioni democratiche ad agire militarmente contro le dittature, per favorire i processi di democratizzazione, perché in alcuni casi un simile principio potrebbe trasformarsi in una cortina di fumo per avventure di carattere coloniale. Questo comportamento può essere legittimo soltanto in casi eccezionali, quando, a causa della sua natura estrema, dei suoi eccessi criminali e sterminatori, una dittatura ha chiuso tutti gli spazi residui di libertà che consentano un´azione pacifica di resistenza al suo stesso popolo, o quando si trasformi, a causa delle iniziative belliche contro i paesi confinanti e degli oltraggi ai diritti umani, in un serio pericolo per la pace mondiale. Le testimonianze di tutti gli iracheni che ho potuto raccogliere durante il mio breve soggiorno in Iraq e di cui dà conto questo reportage mi hanno convinto che il regime di Saddam Hussein calzava come un guanto a tale eccezionalità.

Naturalmente un intervento di questo genere avrebbe dovuto essere legittimato dalla legalità internazionale rappresentata dalle Nazioni Unite. Ma l´opposizione della Francia, che ha minacciato di ricorrere al veto nel Consiglio di Sicurezza, ha chiuso tutte le porte a questa possibilità.

La guerra d´Iraq va di gran lunga oltre le frontiere dell´antica Mesopotamia. È servita a portare alla luce e ad aggravare le differenze tra gli Stati Uniti e i loro ex alleati, come Francia e Germania, e per attizzare l´odio contro gli Stati Uniti, legittimando un nuovo anti-nordamericanismo con un´aura di pacifismo e anti-colonialismo in cui si ritrovano gomito a gomito nostalgici del fascismo e del comunismo con nazionalisti, socialdemocratici, socialisti e i movimenti anti-globalizzazione.

Attraverso una strana forzatura, la guerra d´Iraq ha consentito che, in Europa e in America, si esaltasse Saddam Hussein come il David del terzo mondo impegnato a contrastare l´avventura coloniale e petrolifera del Golia-Bush, ed è servita a demonizzare gli Stati Uniti come fonte primaria della crisi internazionale che il mondo sta vivendo dall´11 settembre 2001. È deplorevole che la leggerezza, accompagnata da un crescente nazionalismo, di cui ha fatto mostra il governo francese in questa faccenda abbia contribuito a un tale snaturamento della realtà storica, uno dei cui effetti più gravi è stato la divisione all´interno dell´Unione Europea, che minaccia di rallentare e forse paralizzare a tempo indefinito il processo d´integrazione dell´Europa.

Infine, la guerra d´Iraq - o, piú precisamente, il dopoguerra - è servita a definire che cosa saranno le guerre del XXI secolo. Questi conflitti opporranno sempre meno, come in passato, eserciti convenzionali, e sempre piú società e regimi aperti contro organizzazioni terroristiche che, grazie alle risorse di cui dispongono, possono avere accesso a una tecnologia bellica dal gigantesco potere distruttivo e causare danni incommensurabili contro le popolazioni inermi, come ha dimostrato al Qaeda l´11 settembre 2001. Nelle poche settimane trascorse da quando sono stato laggiú, la situazione si è aggravata, e almeno tre persone che ho intervistato o che mi hanno aiutato nelle mie ricerche - l´imam Al Hakim, Sérgio Vieira de Mello e il capitano di vascello Manuel Martín-Oar - sono cadute vittime di azioni terroristiche. Questo è, naturalmente, doloroso e grave, soprattutto per il popolo iracheno, il quale sopporta i danni peggiori di questo nuovo tipo di confronto bellico. Ma non si dovranno ricavare da ciò conclu
sioni pessimistiche e proporre, come fanno alcuni, di abbandonare gli iracheni e lasciare il campo libero ai tardivi sostenitori di Saddam Hussein e a tutte le organizzazioni internazionali del terrore che si sono spostate in Iraq per impedire che quello sia un paese libero. Questa battaglia potrà essere ancora vinta se la comunità di nazioni democratiche si sentirà coinvolta e agirà di conseguenza. Perché dal risultato del confronto che si svolge oggi in Iraq dipenderà in buona parte se, in futuro, la cultura democratica finirà per imporsi al terrore e al fanatismo autoritario, come ha finito per imporsi alle ideologie totalitarie del fascismo e del comunismo, o se il mondo intero tornerà alla barbarie dei passati dispotismi e satrapie che sono l´eredità politica piú robusta della storia umana.

Ho la speranza che questo reportage sull´esperienza quotidiana del popolo iracheno sopravvissuto alla dittatura del Baath aiuti coloro che si sforzano di avere un giudizio proprio e non giudicano in base a riflessi condizionati e stereotipi del «politicamente corretto», a farsi un´idea piú precisa di quel che ha significato per il popolo iracheno la tirannia ormai sconfitta di Saddam Hussein (ma che continua ferocemente a dare mortali colpi di coda prima di scomparire del tutto) e a domandarsi in base a tutto ciò se questa guerra - crudele, come tutte le guerre - non fosse il male minore.
Annotazioni − Traduzione di Glauco Felici

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