Da La Repubblica del 19/06/2004
Il leader palestinese intervistato da un giornale israeliano promette nuove concessioni al processo di pace
"Israele resterà uno Stato ebraico" la piccola svolta di Arafat
Molti profughi non torneranno in Palestina. È diverso per quelli che sono in Libano. Senza il nostro aiuto sarebbe dura per loro
di Marco Ansaldo
GERUSALEMME - Lo Stato di Israele è ebraico. Ad ammetterlo è per la prima volta niente meno che Yasser Arafat. In una intervista rilasciata al quotidiano di Tel Aviv Haaretz, il presidente palestinese si dice anche pronto a un accordo di pace, sulla base di un ritiro israeliano dal 97-98 per cento della Cisgiordania e della striscia di Gaza, con uno scambio di territori equivalenti per le zone restanti.
Un messaggio positivo, quello lanciato ieri dal raìs a Sharon, del quale dice di non capire perché lo respinga come partner per la pace. Arafat promette che, dopo l´annunciato ritiro israeliano da Gaza, le sue forze garantiranno la sicurezza nella Striscia. Nei giorni scorsi lo stesso quotidiano, di impostazione liberal, aveva riportato un acceso dibattito fra due ex esponenti dell´intelligence militare di Israele uno dei quali - il generale Amos Ghilad - sosteneva che il leader palestinese intendesse ricorrere ai processi demografici di lungo termine per cancellare di fatto lo stato ebraico. Un´ipotesi smentita dall´affermazione di ieri che ha un peso sul problema del diritto al ritorno dei profughi palestinesi, anche se nel testo il raìs non dice quanti rifugiati vorrebbe far tornare in Israele. Ecco di seguito brani più interessanti dell´intervista.
Come sta?
«Non male».
Ma ha avuto giorni migliori. Questi sono giorni difficili?
«Sì».
E pensa che ciò contribuisca alle discussioni in atto?
«La realtà è questa. Non dimentichiamo però che abbiamo cominciato il processo di pace ancor prima degli accordi di Oslo».
Ma lei oggi vorrebbe un´intesa basata su un ritiro israeliano dal 97 per cento della Cisgiordania e della striscia di Gaza?
«Tra il 97 e il 98 per cento».
Sì, e con uno scambio di territori equivalenti per le zone restanti.
«Sì. E con Gerusalemme Est come capitale e la Spianata delle Moschee sotto la sovranità palestinese».
Arafat spiega poi che ammetterebbe così un controllo israeliano sul Muro del Pianto e sul vicino rione ebraico della Città vecchia, garantendo agli israeliani l´accesso ai loro luoghi santi.
E sulla questione del ritorno dei profughi, che rischierebbe di mettere gli ebrei in minoranza all´interno dello stato d´Israele?
«Molti profughi, pur potendo, non sono tornati in Palestina dopo gli accordi di Oslo. Oggi vivono in molti luoghi, in Giordania, Egitto, Nord Europa, Germania. Questi non torneranno».
Ma può assicurare gli israeliani che il suo scopo non è di cambiare la demografia e il carattere di Israele come stato ebraico? Che non userà i profughi per questo?
«Non parlo infatti degli altri profughi. Mi riferisco soprattutto ai meno di 200 mila che sono in Libano, perché vivono in condizioni molto difficili. Senza il nostro aiuto sarebbe davvero dura per loro».
E accetterebbe una soluzione che dicesse: tutto ciò non cambierà il carattere di Israele. Lei capisce che Israele deve continuare ad essere uno stato ebraico?
«Assolutamente».
E il piano di Sharon di ritirarsi la soddisfa? Lei sarebbe in grado di dimostrare agli israeliani che potete agire insieme, che è in grado di controllare Gaza?
«Lo abbiamo fatto molte volte. Lo abbiamo fatto a Gaza quando ero là, e ricorderete quante battaglie abbiamo avuto con Hamas e gli altri. A Betlemme siamo riusciti a tenere tutto sotto controllo».
Allora non esiterebbe, nel momento del ritiro di Israele, a rischiare l´unità del suo campo, cioè anche a combattere contro Hamas?
«Lo farei anche con i membri di al-Fatah che infrangessero la legge. Non potrei starmene zitto. Lo sapete bene, rispetto la parola data e la posizione che occupo».
Se Rabin fosse in vita, ci sarebbe la pace oggi?
«Certo».
Un messaggio positivo, quello lanciato ieri dal raìs a Sharon, del quale dice di non capire perché lo respinga come partner per la pace. Arafat promette che, dopo l´annunciato ritiro israeliano da Gaza, le sue forze garantiranno la sicurezza nella Striscia. Nei giorni scorsi lo stesso quotidiano, di impostazione liberal, aveva riportato un acceso dibattito fra due ex esponenti dell´intelligence militare di Israele uno dei quali - il generale Amos Ghilad - sosteneva che il leader palestinese intendesse ricorrere ai processi demografici di lungo termine per cancellare di fatto lo stato ebraico. Un´ipotesi smentita dall´affermazione di ieri che ha un peso sul problema del diritto al ritorno dei profughi palestinesi, anche se nel testo il raìs non dice quanti rifugiati vorrebbe far tornare in Israele. Ecco di seguito brani più interessanti dell´intervista.
Come sta?
«Non male».
Ma ha avuto giorni migliori. Questi sono giorni difficili?
«Sì».
E pensa che ciò contribuisca alle discussioni in atto?
«La realtà è questa. Non dimentichiamo però che abbiamo cominciato il processo di pace ancor prima degli accordi di Oslo».
Ma lei oggi vorrebbe un´intesa basata su un ritiro israeliano dal 97 per cento della Cisgiordania e della striscia di Gaza?
«Tra il 97 e il 98 per cento».
Sì, e con uno scambio di territori equivalenti per le zone restanti.
«Sì. E con Gerusalemme Est come capitale e la Spianata delle Moschee sotto la sovranità palestinese».
Arafat spiega poi che ammetterebbe così un controllo israeliano sul Muro del Pianto e sul vicino rione ebraico della Città vecchia, garantendo agli israeliani l´accesso ai loro luoghi santi.
E sulla questione del ritorno dei profughi, che rischierebbe di mettere gli ebrei in minoranza all´interno dello stato d´Israele?
«Molti profughi, pur potendo, non sono tornati in Palestina dopo gli accordi di Oslo. Oggi vivono in molti luoghi, in Giordania, Egitto, Nord Europa, Germania. Questi non torneranno».
Ma può assicurare gli israeliani che il suo scopo non è di cambiare la demografia e il carattere di Israele come stato ebraico? Che non userà i profughi per questo?
«Non parlo infatti degli altri profughi. Mi riferisco soprattutto ai meno di 200 mila che sono in Libano, perché vivono in condizioni molto difficili. Senza il nostro aiuto sarebbe davvero dura per loro».
E accetterebbe una soluzione che dicesse: tutto ciò non cambierà il carattere di Israele. Lei capisce che Israele deve continuare ad essere uno stato ebraico?
«Assolutamente».
E il piano di Sharon di ritirarsi la soddisfa? Lei sarebbe in grado di dimostrare agli israeliani che potete agire insieme, che è in grado di controllare Gaza?
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