Da La Stampa del 15/06/2004

OPINIONI

Le ragazze yemenite scendono in piazza a pretendere il velo

di Domenico Quirico

Chi sono le vere eroine dell’Islam? Forse Rania al Baz, conduttrice di una popolarissima trasmissione televisiva saudita: suffragetta senza paura in un paese consacrato all’assolutismo maschile che, massacrata dal marito geloso, ha deciso di sfidare l’omertà facendo pubblicare le foto del suo volto sfigurato e portandolo davanti ai giudici per una condanna certo non lieve, sei mesi di prigione e trecento frustate. E se fossero invece le ventimila studentesse delle scuole medie superiori che ieri hanno manifestato fragorosamente a Sanaa, nello Yemen, per protestare contro una legge che le vuole liberare, evidentemente controvoglia, dall’obbligo di portare il velo integrale in classe?

Bisogna essere preoccupati se le ragazze tunisine cominciano sempre più numerose a sfidare le madri e le leggi del governo indossando di nuovo il velo? Lo fanno per snobismo, per spleen giovanile, per un sussulto di virtù? O c’è dell’altro? E pensare che questo è il paese simbolo del laicismo musulmano dove fu il padre della patria, Bourghiba, ormai mezzo secolo fa con la sua intransigenza voltairiana a imporre la eguaglianza dei sessi come una delle condizioni della indipendenza. E se fosse solo una isolata curiosità e non una tendenza la pubblicazione in Arabia Saudita, bastione dell’ortodossia wahabita, di Dounya, la vita, il primo giornale femminile del paese scritto in inchiostro rosa ma che nel primo numero ha già annunciato la creazione di un comitato per la difesa delle donne contro le sevizie del marito?

Forse è necessario rifare un po’ i conti e chiederci se non abbiamo prestato ad altri, abusivamente, la nostra causa. Il velo interpretato come imposizione maschilista, come manifestazione di arretratezza, lo è solo in Europa, così ben dissodata da altra storia e da altre idee.

Dal Maghreb alla Indonesia, nel grande pianeta musulmano, per milioni di donne è al contrario il simbolo di identità, l’evocazione non di un obbligo religioso che non esiste (nel Corano il coprire i volti non è certo la preoccupazione principale di Dio), ma di una cultura e di una appartenenza. Le velate studentesse tunisine e turche (altro bastione per noi fino a ieri di una modernità che ci tranquillizza) rischiano l’espulsione come le loro colleghe che frequentano le aule della laicissima e burbera Francia e invocano un’altra modernità, che non è la nostra.

I giovani dai molti rancori che vivono nelle società islamiche ammalate di miseria e corruzione sono assolutisti, vogliono tutto o niente: la forza della fede, i simboli del passato contrapposti alla umiliazioni del presente raggrinziscono le isole di modernità, molti li assorbono come un sottile vapore che aiuta a sopravvivere. Compiono un esorcismo con cui scavano, come i fautori della Jihad violenta, un solco netto con l’avido e arrogante Occidente.

Non è un caso che le donne siano protagoniste in due paesi chiave del mondo islamico, bastioni del rigorismo religioso e infettati dalle tentazioni dell’integrismo omicida di al Qaeda: Arabia Saudita e Yemen. A Riad non si combatte una crociata per riformare o difendere i costumi, è in corso una complessa battaglia politica. Le apparizioni pubbliche delle donne, che si sono moltiplicate via via che il regno saudita usciva da un immobilismo politico ormai insopportabile, sono utilizzate da un gruppo di potere a cui è rimasto poco tempo per cercare di fermare le ambizioni degli assolutisti antioccidentali. In palio c’è molto di più che il vestito «scandaloso» di una presentatrice tv o lo scandalo delle dieci manager che hanno partecipato a un forum economico a Gedda con l’ex presidente americano Clinton a volto scoperto. C’è una guerra dinastica in quella enorme tribù percorsa da veleni e rivalità per controllare la cassaforte petrolifera. Chi è, in questo scenario, più subdolamente strumentalizzato: le moderniste o quelle che invocano il velo?

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