Da La Stampa del 16/06/2004
DUELLI SICILIANI
L'inquisitore e il grande inquisito
di Francesco La Licata
Esce dalle urne europee l’ultimo miracolo del «laboratorio politico» siciliano (un alambicco molto particolare che ha prodotto in passato, per dire, il «milazzismo» che faceva governare insieme comunisti e missini con la Dc all’opposizione, e il compromesso storico con tre anni d’anticipo). Sono stati eletti, con un boom di preferenze, Totò Cuffaro, il governatore della Regione, e Claudio Fava, l’irriducibile leader siciliano dell’antimafia Ds, già segretario regionale ed eurodeputato uscente. Uno capo del governo eletto con 160 mila preferenze, pur venendo dalla piccola Udc. L’altro capo dell’opposizione che è arrivato a 220 mila. Uno finito in un’inchiesta di mafia (per la verità con dubbie accuse), e per questo crocifisso come mafioso in tutta la campagna elettorale; l’altro impegnato in modo totale e integrale nella lotta alle contaminazioni con Cosa nostra, e talmente duro in questo campo da essere entrato in rotta di collisione anche con il suo partito, o con quella parte che non condivideva il suo atteggiamento giustizialista, ed essersi rifiutato di salire sul palco dei comizi con compagni toccati da discutibili frequentazioni.
Come sia possibile un risultato del genere, in cui l’elettorato si divide equamente fra il candidato gravato da accuse di mafia e il leader anti-mafia, è insieme semplice da capire e difficile da spiegare. Non è pensabile, ad esempio, che gli elettori siciliani si siano schierati su due fronti, filo e anti-mafiosi, o filo e anti-giudici. No, in Sicilia contano le sfumature. E per capire bisogna parlare in siciliano.
Totò è indagato, è vero. Ma è anche uno di quei personaggi cresciuti alla scuola Dc del «vivere e fai vivere». E, specialmente in Sicilia, simili caratteristiche hanno la capacità di far passare in secondo piano questioni di principio o arditi dibattiti sull’etica. Basterebbe ricordare, per esempio, come tra le richieste di favori giunte in passato al governatore, ve ne fossero alcune provenienti addirittura da stretti collaboratori dei magistrati che lo stavano indagando. Chi ha votato Cuffaro, perciò, quasi certamente lo ha fatto per «amicizia», che in queste contrade è cosa sacra.
E Fava? Anche qui bisogna parlare in siculo. Claudio ha sbaragliato in voti (e lasciato a casa) persino il rettore di Catania, Latteri, «convinto» a trasmigrare da Forza Italia al centrosinistra e imposto come capolista anche sulla testa di Fava. Quando Claudio era riuscito a stoppare la candidatura del suo compagno Mirello Crisafulli, «mascariato» da una vicenda di dubbie frequentazioni con una coppola storta, escluso per questo dalle liste, e disperato nel proclamarsi innocente, una parte dell’apparato diessino gliel’aveva giurata, a Fava: «Non ti faremo prendere un voto». Invece ha stravinto. Probabilmente in questo caso ha funzionato l’altro modo di essere siciliani, cioè cuntrariusi, bastian contrari, dispettosi, un po’ com’era Leonardo Sciascia: all’opposizione di ogni conformismo.
Come sia possibile un risultato del genere, in cui l’elettorato si divide equamente fra il candidato gravato da accuse di mafia e il leader anti-mafia, è insieme semplice da capire e difficile da spiegare. Non è pensabile, ad esempio, che gli elettori siciliani si siano schierati su due fronti, filo e anti-mafiosi, o filo e anti-giudici. No, in Sicilia contano le sfumature. E per capire bisogna parlare in siciliano.
Totò è indagato, è vero. Ma è anche uno di quei personaggi cresciuti alla scuola Dc del «vivere e fai vivere». E, specialmente in Sicilia, simili caratteristiche hanno la capacità di far passare in secondo piano questioni di principio o arditi dibattiti sull’etica. Basterebbe ricordare, per esempio, come tra le richieste di favori giunte in passato al governatore, ve ne fossero alcune provenienti addirittura da stretti collaboratori dei magistrati che lo stavano indagando. Chi ha votato Cuffaro, perciò, quasi certamente lo ha fatto per «amicizia», che in queste contrade è cosa sacra.
E Fava? Anche qui bisogna parlare in siculo. Claudio ha sbaragliato in voti (e lasciato a casa) persino il rettore di Catania, Latteri, «convinto» a trasmigrare da Forza Italia al centrosinistra e imposto come capolista anche sulla testa di Fava. Quando Claudio era riuscito a stoppare la candidatura del suo compagno Mirello Crisafulli, «mascariato» da una vicenda di dubbie frequentazioni con una coppola storta, escluso per questo dalle liste, e disperato nel proclamarsi innocente, una parte dell’apparato diessino gliel’aveva giurata, a Fava: «Non ti faremo prendere un voto». Invece ha stravinto. Probabilmente in questo caso ha funzionato l’altro modo di essere siciliani, cioè cuntrariusi, bastian contrari, dispettosi, un po’ com’era Leonardo Sciascia: all’opposizione di ogni conformismo.
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