Da Corriere della Sera del 14/06/2004

«Hai perso, dimettiti»: tutte le disfide del dopo voto

Alle Europee ’99 FI in crescita chiedeva la fine del governo D’Alema

di Gian Antonio Stella

«E' inutile stare a dissertare se si sia trattato di elezioni politiche o meno: gli elettori dinanzi a due progetti politici, a due visioni della società, a due modi di amministrare, hanno fatto la loro scelta. E hanno detto dove sta la maggioranza del Paese». La sentenza di Enrico La Loggia, emessa con tono inappellabile, non turbi però i sonni di Silvio Berlusconi: sono parole di quattro anni fa e il governo invitato a dimettersi non è il suo ma quello di Massimo D'Alema che aveva perso le Regionali. Scherzi della politica: chi di spada ferisce... Lo stesso Cavaliere, del resto, non ha mai fatto mancare la sua opinione sul tema, ai tempi in cui vinceva le elezioni di medio termine.

Lo spiegò dopo le Europee del '99 vissute con quel 25% come un trionfo in confronto non tanto con quelle del '94 (dove aveva preso il 30,8) quanto con le Politiche del '96: «Alla luce di questo risultato D'Alema e Veltroni non possono fare gli struzzi, nascondere la testa sotto la sabbia. In Parlamento esiste una maggioranza che in realtà è di gran lunga minoranza nel Paese». I dati mostravano senza dubbi, disse, la «delegittimazione del Parlamento» che a questo punto non era più «rappresentativo della situazione reale del Paese».

La risposta di Massimo D'Alema, che stava allora a Palazzo Chigi, fu sprezzante: «Quelle di Berlusconi sono considerazioni polemiche che in nessun Paese europeo sarebbero considerate valide». Nei Paesi europei, sbuffò, impartendo con la proverbiale sufficienza una lezioncina al leader di Forza Italia, «il Parlamento viene eletto con elezioni legislative. Le elezioni europee servono per il Parlamento europeo. Si sa». Al che le opposizioni saltarono su invelenite. «L'unica anomalia qui è il governo D'Alema», sferzò Beppe Pisanu. «Il 60% del Paese ha bocciato questo esecutivo e questa maggioranza e ciò nonostante i numeri coi quali giocano D'Alema e Veltroni» insistette La Loggia. «Il governo esce nettamente minoritario e deve trarne le conseguenze» sancì Maurizio Gasparri.

L'anno successivo, dopo le Regionali andate male all'Ulivo, replay. E a dettare le buone regole della democrazia fu ancora Enrico La Loggia: «D'Alema dovrebbe prendere atto del fatto che, avendo chiesto un referendum sul suo governo, lo ha perso e, quindi, dovrebbe lasciare. Se fosse una persona seria non dovrebbe aspettare una mozione di sfiducia o che qualcuno chieda le elezioni anticipate, dovrebbe avere il coraggio, la coerenza, la dignità di andarsene questa notte stessa». «Molto meglio andare alle elezioni per eleggere un governo legittimato piuttosto che continuare questo accanimento terapeutico di una legislatura di fatto finita con le Regionali, con questo referendum su D'Alema, che egli stesso aveva incautamente provocato» si associò Gianfranco Fini. «Si vada dunque ad elezioni al più presto perché ogni giorno di più che D'Alema sta a Palazzo Chigi è un'offesa alla sovranità popolare». Addirittura? Sissignore: «Il centrodestra con i suoi alleati è largamente maggioritario nel Paese, il centrosinistra largamente minoritario e il presidente del Consiglio, non per affermazione delle opposizioni, ma per la fotografia della situazione reale, è un abusivo a Palazzo Chigi».

«E' evidente che il centrosinistra non gode più del sostegno della maggioranza degli italiani» si accodò Roberto Formigoni. «Esiste un solo responso possibile, quello che deve emettere il popolo» intimò il moderato Pier Ferdinando Casini. «Ci sono state elezioni amministrative che hanno cambiato l'equilibrio politico nazionale e oggi per noi la soluzioni sono le elezioni». «E' un avviso di sfratto nei confronti di D'Alema, inquilino abusivo di Palazzo Chigi» plaudì il governatore veneto Giancarlo Galan: «La sinistra aveva scelto di giocarsi tutto con queste elezioni e, quando si gioca tutto e si perde, correttamente si perde tutto».

«D'Alema ha completamente sbagliato la schedina, ora è indispensabile che si dimetta» si aggregò Francesco Storace. E, siccome sull'altro fronte facevano orecchio da mercante, il leghista Roberto Castelli, con la solennità di chi già si sentiva futuro ministro della Giustizia, ringhiò: «Il Paese non vi vuole più al governo: la gente ha scelto!».

Ma come: non si trattava soltanto di elezioni regionali? «Non c'è nessun automatismo tra questi risultati, la tenuta del governo e le elezioni anticipate» smorzò il popolare Lapo Pistelli. «Il centrosinistra ha diritto a una prova d'appello nella sede naturale delle elezioni politiche del 2001» gli fece eco il costituzionalista Leopoldo Elia. No, li stoppò Gasparri: «Prima ancora delle regole elettorali viene il rispetto di una regola fondamentale: governa chi ha il consenso dei cittadini e oggi il centrosinistra in tutte le sue riedizioni, anche in quella illegalissima che vedrebbe Amato protagonista, non ha il consenso degli italiani». Quindi? «L'unica soluzione è il ricorso alle urne. Ogni altra soluzione è un attentato alle regole della democrazia».

Il Cavaliere confermò: «Ci sono state due elezioni consecutive, le Europee prima e le Regionali poi, che hanno ratificato questa verità: la maggioranza in Parlamento è minoranza nel Paese. L'annuncio del presidente D'Alema di rassegnare le dimissioni apre una fase nuova che spero non si riduca a una nuova sceneggiata romana. Il quadro emerso dalle regionali dimostra in modo inequivocabile che la situazione politica è cambiata. Bisogna restituire al popolo la sua sovranità, come prevede l'articolo 1 della Costituzione. Alla luce di questi risultati, io non credo che questo governo sia legittimato a continuare. Non ha credibilità. Non è nemmeno credibile a livello internazionale dopo un risultato del genere».

«Il centrosinistra vi batterà alle politiche il prossimo anno» gli rispose con sventurato spirito profetico Pietro Folena durante un confronto a "Porta a Porta". «Mandate gli italiani alle urne, il resto sono chiacchiere» lo fulminò in diretta Berlusconi. Il quale, un paio di giorni dopo, rifinì il suo pensiero in una intervista al "Foglio": «Ci sembra ovvio che il Paese ha un problema chiaro, netto, di rilegittimazione della politica. Nuove elezioni sono l'unico modo per ristabilire il circuito virtuoso tra Paese reale e Paese legale». Insomma, Politiche o non Politiche, «quando un Paese democratico sfiducia il governo, si vota».

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