Da Corriere della Sera del 13/06/2004

IL CASO

L’uomo di Annan si sente emarginato dagli americani

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Lakhdar Brahimi avrebbe rassegnato giorni fa le dimissioni dal suo incarico in Iraq, ritenendo di essere stato emarginato dall'America «e dai suoi alleati iracheni» nella formazione del nuovo governo a Bagdad. Lo afferma il sito internet del giornale israeliano Haaretz , attribuendo la notizia a fonti Onu. Il Palazzo di Vetro di New York non commenta, ma dichiara che l'ex ministro degli Esteri algerino resta «consigliere speciale» del segretario Kofi Annan, e lo sostituirà domani ad Ankara alla riunione dei Paesi vicini all'Iraq indetta dall'Organizzazione della conferenza islamica.

Secondo Haaretz , Brahimi non ha ancora formalizzato le dimissioni in una lettera ad Annan ma non tornerà a Bagdad. Intervistato dalla Bbc giovedì, il mediatore dell’Onu non aveva smentito di volere rinunciare al mandato, e il giornale israeliano sostiene che Annan sta ora cercando un suo sostituto. La decisione di Brahimi era attesa - vi aveva accennato egli stesso al ritorno dall'Iraq - ma il fatto che l'avrebbe accelerata in segno di protesta getta un'ombra sull'America e il governo iracheno. Spiega anche perché su di lui, uomo chiave della difficile transizione, sia sceso il silenzio.

Partito con l'intento di formare un governo di tecnici, Brahimi si ritrovò il 2 giugno scorso con un governo soprattutto di politici, per di più affidato a un uomo legato alla Cia, il premier Iyad Allawi. «Gli americani e gli iracheni loro vicini - scrive Haaretz - non vollero dargli spazio. Altri iracheni si meravigliarono del suo atteggiamento passivo». L'inviato dell'Onu non nascose il suo scontento: «Non credo che il governatore americano Paul Bremer si offenderà se dico che è un dittatore perché ha i soldi e il potere» notò alla conferenza stampa. Ma si mostrò soddisfatto del ruolo dell'Onu in Iraq.

Al voto unanime sulla nuova risoluzione al Consiglio di sicurezza, Brahimi mantenne un delicato equilibrio. Si disse gratificato del riferimento alla sua opera, ma ammonì che «i giorni e le settimane a venire metteranno il governo a dura prova», che «la soluzione dei problemi in Iraq richiederà anni, non mesi», e che «è necessario un dialogo con quanti si sono opposti all'occupazione e al processo politico». Caldeggiò la partecipazione ai lavori della «Conferenza dei mille» che dovrebbe tenersi a luglio dei rappresentanti dell'ayatollah Sadr, asserendo che «non tutti i ribelli sono terroristi».

Le dimissioni di Brahimi rischiano di alimentare i dubbi sul passaggio dei poteri agli iracheni manifestati dai critici dell'America, sulla permanenza di Bremer a Bagdad fino alla data fissata del 30 giugno e sugli sviluppi della crisi nei prossimi mesi.

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